Rom a Monselice

 
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Monselice (Padova), 23 ottobre 2005

Lettera aperta al Presidente della Regione Veneto, al Prefetto di Padova e al Vescovo di Padova
Alla fine, i Rom sono stati ricacciati in strada
Serve un progetto di cittadinanza condivisa che impegni tutte le parti in causa

Alla fine, i Rom sono stati ricacciati in strada. In una giornata piovosa. Con vigliacco sotterfugio e in spregio al comune principio di umanità, le due famiglie Rom che abbiamo imparato a conoscere a Monselice sono state cacciate via.
È difficile pensarli al freddo, al buio e soli, abbandonati al loro maledetto destino, all'inizio della stagione delle piogge e del rigore invernale. Ma è così, anche per quest'anno.
Il rituale della cacciata della gente rom viene riproposto a Monselice e con esso la condanna pubblica di uomini, donne e bambini rom alla vita nomade senza alcuna possibilità di riscatto sociale. Nella fragile esperienza di bambini e di ragazzi, la maledizione della gente rom è un marchio di vergogna. Le famiglie Rom avevano scelto e chiesto da oltre due anni di poter abitare a Monselice ma sono state dichiarate colpevoli per almeno tre ordini di reato.
Primo reato, l'essere di etnia Rom e questo marchio sociale, storico, li costringe alla deriva, li umilia e li inchioda a inutili sofferenze e li offende peggio della memoria dell'olocausto, peggio del tatuaggio nelle carni.
Seconda colpa, il costituire, com'è nella tradizione rom, una famiglia allargata con il bisogno di uno spazio e di una casa. Come del resto molti altri cittadini di Monselice. Ma le famiglie Rom di Monselice non potranno mai chiedere né uno spazio né tanto meno una casa perché non hanno un lavoro e perché non hanno la residenza. E proprio perché non hanno la residenza non avranno mai un lavoro. Per questo non vengono considerate persone, come noi. Talora anche trovare un lavoro a tempo determinato, come è accaduto per il capofamiglia rom, non basta per cambiare la propria storia!
Terza terribile colpevole conseguenza: non sono integrabili. Considerati una sottospecie umana, apparentemente senza colpa, uomini e donne geneticamente modificati sono negati all'integrazione. Non vengono loro riconosciute radici cristiane né cultura occidentali. Non sono tutelati come famiglia perché evocano sempre e comunque la vergogna dei campi nomadi, con bisogni e sogni diversi dai nostri. Sono rifiutati anche dai nostri "dei", diffidenti e ostili, forse, come noi per la richiesta di autodeterminazione reclamata, come lo spazio, il gioco e i sogni che non sono più i nostri da tanto tempo.
Non abbiamo l'apertura mentale né risorse culturali per comprenderli e non vogliamo accoglierli; anche perché sono olivastri, sporchi di sole e di polvere, e chiedono sempre qualcosa. Ma chiedono anche il rispetto dei diritti naturali: una dimora, l'acqua, la luce e il fuoco. Il diritto allo studio per il loro figli. Per noi questi sono irrinunciabili diritti civili garantiti dalla Costituzione, per loro espressioni assurde!
Per i problemi delle due famiglie Rom di Monselice nessuna delle istituzioni pubbliche si è schierata al loro fianco per tutelarne i diritti o per prestar loro protezione: non la Protezione Civile, non la Croce Rossa fregiata di un nuovo splendido labaro, non l'Assessore alla famiglia e del volontariato. Il sindaco di Monselice li disprezza pubblicamente.
Meglio per loro il buio di una strada anonima, in una lercia e abbandonata periferia dell'area industriale di Monselice.
La soluzione finale dei Rom era attesa ma mi aspettavo non tanto l'interessamento del devoto politico prono alle ben calcolate benedizioni pubbliche ma l'attenzione della Comunità e della Chiesa locale che sapessero ancora accogliere e ascoltare le suppliche degli ultimi degli ultimi! Ma evidentemente non è ancora Natale.
Uomini, donne e bambini rom sono stati allontanati dalla palazzina che avevano occupato nell'ultimo inverno e sotto la pioggia sono stati ammassati alla periferia di Monselice. Gli amministratori di Monselice avevano promesso loro interessamento e una dignitosa soluzione, seppur ancora provvisoria, purchè fossero stati cauti e silenziosi e avessero obbedito senza protestare. Per togliere ogni ostacolo alle attenzioni promesse, Sindaco e Assessore alla famiglia hanno provveduto ad abbattere l'unico edificio che poteva costituire un riparo provvisorio per l'inverno. Il giorno prima dell'ammasso in zona industriale di Monselice.
Il capolavoro dell'accusa e il rito di condanna si sono così perfettamente celebrati.
I Rom non osano chiedere più nulla, tanto sono schiacciati e umiliati. Io, per loro, chiedo: presidente Galan, prefetto di Padova, vescovo Antonio tutto questo risponde a giustizia, nel 2005? Il nostro Dio cosa ne pensa?

Gastone Zilio e Mariolina Capuzzo
una famiglia di Monselice

Risponde Tino Bedin

Ringrazio Gastone Zilio e Mariolina Capuzzo della costanza civile ed umana con cui ci richiamano ad dovere costituzionale di affrontare le condizioni di diversità che la nostra società contiene e che richiedono certamente spirito di attenzione e di carità, ma anche un progetto di cittadinanza condivisa al quale impegnare tutte le parti in causa.

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23 ottobre 2005
di-495
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Tino Bedin