Vista la paradossalità della situazione creatasi con il caso Margherita-Prodi (ritengo opportuno definire così la questione, e non "Rutelli-Prodi", visto che la decisione è stata presa da una maggioranza superiore ai due terzi del partito e non dal solo leader), avverto, da cittadino appassionato alla politica, l’esigenza di esprimermi a riguardo.
Probabilmente mi sfugge qualcosa – lo dico senza ironia – ma mi pare che a questo giro di ruota un Marini possa essere legittimato a chiedersi se siamo matti?!
Premetto che l’aspetto caratteriale che maggiormente contesto alla Margherita è il vizio diabolico del conformismo, soprattutto in materia economica, dove tutto il centro-sinistra non riscalda i cuori e non rimpinguerà i portafogli, mantenendosi allineato al paradigma liberista.
Vengo al punto.
Prima delle polemiche, quando ho saputo che il partito della Margherita aveva optato per presentarsi al proporzionale "da solo", mi sono detto che non poteva essere altrimenti se l’obiettivo era quello di prendere il maggior numero di voti possibile.
Per questa linea ha optato il 70 per cento del partito, contro un 20/25 per cento che ha optato invece per l’ipotesi contraria.
Infatti, quanto elettoralmente registratosi dalla nascita della Margherita, per passare dalle amministrative del 2004 fino ad arrivare agli ultimi esiti elettorali regionali, rende assolutamente logica, scontata, incontestabile in quanto unica (se veramente si punta a vincere senza rischi) la scelta della Margherita.
Così il fondersi di Ppi, Rinnovamento italiano e Democratici ha dato nel 2001 al neonato partito dell’unificazione, “La Margherita”, un valore aggiunto; il patto elettorale (o sostanzialmente tale), invece, tra i Repubblicani, la Margherita, i Ds e lo Sdi, nelle regionali del 2004, non dette alcun valore aggiunto in termini elettorali al simbolo sotto cui i quattro si posero.
Questo da un punto di vista della analisi politico/partitico-elettorale cosa ci suggerisce? Che quando l’unione ha un motivo d’essere ideologico (Ppi, Rinnovamento italiano, Democratici: l’estrazione cristiano-sociale è la medesima) il patto produce un valore aggiunto elettorale, ma quando questa comunione dei valori intrinseci più forti, viene a mancare, così come nel 2004, ecco che il cartello elettorale non produce valore aggiunto. I Ds sono nell’immaginario collettivo la rivincita dei comunisti; la Margherita rappresenta, sempre nell’immaginario collettivo, il ritorno della Dc; lo Sdi il ritorno dei socialisti di sinistra; i repubblicani lo dice la parola stessa. Si tratta di entità partiticoideologiche che nella cosiddetta prima Repubblica erano ben distinti gli uni dagli altri, ciascuno con caratteristiche proprie forti. Il corpo elettorale non è ancora pronto per vederli come un tutt’uno; basta andare ad una riunione di partito Ds a sentire cosa si dice degli ex-Dc, o viceversa.
La inevitabilità della scelta della Margherita è tale che Casini il giorno stesso della comunicazione di Rutelli, ha sostanzialmente rilevato come quella decisione rappresenti un problema per l’Udc.
L’analisi fatta è, a mio modesto avviso, a fondamento della stessa decisione di Fini, Follini e della Lega, di non unirsi a Forza Italia in un partito unico.
Ma se allora è così chiaro che una Margherita che corre al proporzionale da sola è una forza attrattiva di voti (presumibilmente da destra) per tutto il centro-sinistra, perché Prodi, ed in parte anche i Ds, si sono agitati tanto?
Credo che il motivo, in termini di pura forza politica, sia questo: con una Margherita più forte, Prodi ed i Ds debbono avere un "tono della voce" più basso; viceversa Rutelli può alzarne il tono.
Tuttavia, si può ragionare nei suddetti termini che ho provato ad ipotizzare a motivo della lite sorta, ostentando così la sicurezza che tanto vinceremo comunque, rischiando invece di avere detto gatto prima di averlo nel sacco? O piuttosto visto l’oramai canonico oscillare delle coalizioni intorno al 50 per cento, non è più opportuno sfruttare tutte le armi dell’arsenale e poi sulla forza della leadership si ragionerà in un secondo momento?
Sembra così che l'equazione che ispira le azioni dei nostri sia: leader forte, partiti deboli; partiti forti, leader debole.
Se questa equazione è vera ci troviamo di fronte a uomini ispirati da quella volontà di potenza che Nietzsche vedeva come unico elemento guida dell’umanità, non a persone capaci di vedere il giusto e l’ingiusto, il vero ed il falso, che dunque sappiano domare i più bassi istinti per dare spazio alla ragione cognitiva che distingue l’uomo dall’animale.
Cosa fece Don Sturzo al cospetto di De Gasperi una volta rientrato in Italia?
Situazioni diverse? Guardiamo ai valori primi che dominavano quegli uomini; statisti capaci di vedere l’invisibile piuttosto che di essere dominati dalla volontà di potenza. La volontà di potenza è tipica del Berlusconi politico, ossia di una leadership debole, la cui sola apparenza è forte, ed oramai neanche più quella.
La leadership è forte se forti sono le sue idee. Lo stesso vale per una coalizione. Le idee sono forti se sono espressione di un principio di giustizia, ovvero puntano al Bene Comune. Il Bene Comune non è però il conformarsi a poteri fortissimi ingiusti, perché si teme che scegliendo altre strade si vada incontro a mali peggiori. Se una popolazione si trova in balia di una politica pro-austerità pretesa da sempre dai centri finanziari internazionali - senza trovare ostacoli dai tempi degli assassini dei Kennedy (‘64-‘68) per gli Usa, di Aldo Moro (‘78) per l’Italia, di Alfred Herrhausen e Detlev Rohwedder (‘89-‘91) per la Germania – vuol dire che i leaders non stanno facendo i leaders, piuttosto esosi esattori; questo ruolo, infatti, poteva averlo qualsiasi altro cittadino e non un élite scelta.
Il Bene Comune è contrastare la volontà di potenza di chi si è condannato brutalmente al soddisfacimento dei sensi, dunque al proprio egoismo (a tutto danno dell’altro da sé); il Bene Comune è riproporre alla propria gente quel modello di vita che le consenta di ricercare la tranquillità, la serenità, quella felicità interiore di cui ci parla la Dichiarazione d’Indipendenza del 1776, cosa di cui oggi quasi più nessuno ne sente l’odore. La storia ci ha dimostrato quali possono essere le strade giuste, ma oggi si va nella precisa direzione opposta, e nessuno pare avere il coraggio per gridarlo. Così ci si inventa a destra che il problema sono i comunisti; a sinistra che il problema è Berlusconi.
Si aspettano tempi peggiori per dire ciò che va detto, poiché si ha il timore di essere fatti fuori dal giro. Oppure si crede veramente che sia la strada del laissez faire, del liberismo del dio pagano Market a domare quella volontà di potenza che domina i più e che più nessun leaders è capace di sfidare.
Si continua a parlare di contenitori, di forme, si guarda l’esterno del bicchiere farisaico, piuttosto che ciò che esso contiene, e dopo quattro anni non si è dato vita ad un programma che ridia speranza reale, e non illusioni, alla popolazione.
Ho il timore che per rendere più celeri alcune manovre di politica economica, che nella prossima legislatura saranno parecchio dure, chiunque vinca, - almeno che non si ritorni alla tradizione dei De Gasperi, Moro, La Pira, Mattei -, si desideri una leadership senza vincoli; ciò sia nel centro-sinistra che nel centro-destra.
Claudio Giudici
Risponde Tino Bedin
Finalmente una "lettura" della situazione nell'Ulivo che non è limitata alla questione dei contenitori della coalizione, ma dei contenuti. Non sottoscrivo complessivamente l'analisi di Claudio Giudici ed un suo commento esigerebbe una risposta altrettanto articolata, tuttavia è decisivo per il futuro della società italiana che l'Ulivo si interroghi sul ruolo della rappresentanza democratica nei confronti del potere economico e finanziario; sul bilanciamento che le istituzioni sono chiamate ad esercitare rispetto al peso della globalizzazione economica e delle sue conseguenze sui diritti sociali e personali. Da qui può nascere un moderno partito democratico, non solo da una lista per le elezioni.
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