Scuola Infermieri del Policlinico San Marco

 
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Venezia, 11 febbraio 2004

Assistenza vuol dire "essere presenti" in modo sapiente, oltre che umano
Investire sulla formazione per evitare la chiusura
della Scuola Infermieri del Policlinico San Marco

Una "cura" così decisiva da essere parte della comune cittadinanza


La Scuola Infermieri del Policlinico San Marco chiuderà fra pochi mesi. È come se andasse in fumo una biblioteca. Ha un'equipe con saperi specifici e per tradizione è sempre stata vicina alla realtà dell'anziano, del territorio, della riabilitazione. Potrebbe diversificarsi e specializzarsi nel territorio. Aiutare a realizzare la presa in carico del malato a domicilio. Funzionare oggi per la formazione di chi opera nell'assistenza: operatori socio-sanitari, badanti (meglio dire "governanti"), volontari, famigliari. In convenzione sociale e sanitaria regionale e locale, ma anche cittadina, con l'amministrazione locale ed in futuro con le Municipalità, con soggetti privati. Occorre un guizzo di iniziativa per amore della qualità nell'assistenza.
Assistenza vuol dire "essere presenti", ma in modo sapiente, oltre che umano. Chi assiste ha bisogno di veder investito nelle risorse umane di questo delicato settore (formazione, aggiornamento, lavoro collegiale, per progetto): ospedale, casa di riposo, domicilio. Il lavoro di cura è scienza e lavoro manuale insieme. E per fare un esempio, anche nella mia personale esperienza, succede di parlare di qualità, o di "indicatori di cattiva assistenza". Decubiti, flessioni tendinee delle gambe che non permettono più la postura eretta alla persona, la perdita della parola... tutte cose che avvengono molto velocemente negli anziani o disabili ricoverati e allettati, ma anche a domicilio e che sono evitabili con una buona assistenza.
Aggiungo una nota che quando incontro mi si stringe il cuore: i segni simbolici delle "mani alzate in segno di resa". Un gesto antico, simbolico. Quando mi avvicino ad una persona per aiutarla a scendere dal letto, dalla poltrona... e lei è disorientata, non sa che fare ed "alza le braccia": è un segno inequivocabile di "resa". Come in un campo di battaglia di fronte ad un nemico.
Il disorientamento, se non è una specifica malattia neurologica, è un segno frequente e scomparirà quasi subito, con un po' di pazienza, di relazione umana e soprattutto di tecniche adeguate. Questo segno parla di una o più persone che assistono, sicuramente brave, ma vissute come estranee, perché non sufficientemente competenti in alcune tecniche od organizzate in modo inadeguato. Quasi sempre bastano due mani per alzare una persona e troppo spesso invece sono quattro anche quando non servono. Si corre sempre di più, si pensa di fare prima, senza la partecipazione del malato che rimane così disorientato (e come potrebbe non esserlo con più di una persona attorno), inutile, in-abile.
Il bisogno, senza la conoscenza del fare diventa una disperazione. Per il malato, i famigliari. Per quanti assistono diventa fatica, demotivazione, malattia, fuga dal lavoro di cura. Non è solo un lavoro manuale. Le mani, nel lavoro di cura, devono "sapere" cosa fare.
Quasi sempre è sufficiente sfiorare appena un arto per spostarlo, senza afferrarlo (quanti ematomi avvengono per questo). Le mani possono sostenere restando aperte, a palmo piatto, all'insù (la pressione è minore ed è anche un gesto simbolico di accoglienza). Con sostegno in due punti: mano-avambraccio, tallone-polpaccio... spesso con "due mani", quasi mai quattro. Una persona praticamente mai si deve senza alzare di peso (se il paziente non carica almeno pochi secondi 2-3 volte al giorno "perde le gambe" che si flettono e non si reggerà in piedi mai più), occorre indicare la direzione del movimento, rappresentarlo prima che avvenga. Reinsegnarlo durante e dopo un ricovero in ospedale.
Si potrebbe investire sulla formazione, considerarla una priorità ed evitare che la Scuola Infermieri del Policlinico San Marco chiuda? E' un appello che mi permetto di fare oggi che è la giornata... delle speranze degli ammalati. Sono e possono essere molte quelle realizzate, una per tutte Giovanna, 84 anni. Pregava sempre la Madonna di Lourdes, una speranza che non ho mai spento, da due anni non camminava, ne ha vissuti altri quattro camminando... con le dovute tecniche e la relazione umana. Era considerata come spessissimo succede "non collaborante" ed invece...    

Leda Cossu
Risponde Tino Bedin

La ringrazio della "sapienza" che ha condiviso con me e anche con il lettori di Euganeo.it. Lei ci aiuta a capire esigenze e risorse degli anziani. Dà anche motivazione ad una "cura" che ha un valore così decisivo da non poter essere delegata alle sole famiglie, ma deve far parte della comune cittadinanza.

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14 febbraio 2004
di-338
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