Italiani a Nassiriya

 
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Albignasego (Padova), 18 novembre 2003

La natura dell'impegno cambia lo "strumento militare"
La missione "Antica Babilonia"
è realmente una missione di pace?

Il rispetto per i soldati richiede chiarezza sulle finalità della presenza in Iraq


Egregio Senatore Bedin, grazie per il suo lodevole impegno a tenerci informati sulle vicende parlamentari e sui tanti problemi politici e sociali che ci coinvolgono direttamente.
  Ho molto apprezzato la sua "Lettera dal Senato 77" intitolata "A Nassiriya con il coraggio dei pacificatori". Condivido pienamente il suo pensiero. Di questo argomento ne abbiamo parlato, seppure in parte, in occasione dell' Assemblea provinciale della Margherita di Padova del 17 novembre scorso. Le sue riflessioni sono del tutto condivisibili, ma non è tutto!
Sarebbe interessante ampliare l'argomento ed analizzare, a mente serena, dopo l'emozione dei funerali di Stato per le vittime del terrorismo, il contesto politico in cui è maturata la decisione di inviare i nostri militari in Irak e valutarne l'opportunità.
Personalmente ho molti dubbi, ma mi limito ad elencarne solo qualcuno.
1. La missione "Antica Babilonia" è realmente una missione di pace, com'è stato raccontato a tutti gli italiani, oppure si tratta di una missione di guerra? La differenza non è cosa da poco perché lo "strumento militare" cambia a seconda dei casi: cambia la scelta dei Reparti, che devono essere i più idonei al compito assegnato, cambia il tipo di armamento, l'organizzazione logistica, la scelta della località di aqquartieramento più opportuna, il livello di difesa passiva e, non ultima, la psicologia stessa dei militari.
2. Il Capo del Governo italiano fin dall'inizio, lo ricordiamo tutti, si è affrettato ad offrire a Bush l'intervento dei nostri militari (all'epoca neanche richiesto dagli Usa). Per quale motivo? Si è trattato forse di un nobile contributo alla lotta al terrorismo ed all'abbattimento di una spietata dittatura, o piuttosto si è voluto sfruttare, con grande cinismo politico, una ghiotta opportunità per apparire come "il primo della classe", per guadagnarsi qualche pacca sulla spalla dal proprio "principe" e contemporaneamente appagare la propria ambizione nel voler apparire quale  "grande uomo di Stato"?
La tragedia si è ormai consumata e diciannove vite sono state stroncate. Si poteva evitare tutto questo? Probabilmente no perché un attentato è possibile anche in un clima di pace, ma sarebbe molto grave scoprire che qualcuno, per fini molto poco nobili, possa aver "giocato" sulla pelle dei nostri soldati.
In ogni caso sono personalmente convinto che la missione "Antica Babilonia", allo stato attuale, debba proseguire.
   

Nicola Signore
Risponde Tino Bedin

Segnalo ai nostri lettori che Nicola Signore è un generale: lo si capisce dalla competente scelta delle parole in relazione alla natura della missione in Iraq.
Le domande che egli pone, sono state da me (e non solo da me) poste in Senato sia in occasione del primo dibattito sulla missione in Iraq, sia nella discussione sul decreto legge di finanziamento: quest'ultima discussione in particolare è illuminante per chi abbia la voglia di rileggerla, perché sottolinea la consapevolezza di una parte del Parlamento sui rischi che una missione ormai dentro un teatro di guerra presentava e presenta.
Il rispetto per il servizio prestato dai nostri militari in Iraq ed altrove nel mondo - dopo l'onore reso ai caduti - richiede ora che si precisino i loro compiti, che siano chiari gli obiettivi politici che il governo assegna loro.

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19 novembre 2003
di-310
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Tino Bedin