Scuola statale

 
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Venezia-Zelarino, 21 luglio 2003

Un invito ai senatori della Margherita
Vi chiedo un impegno costante per la scuola statale
Meglio definire "pubblica" una scuola a cui molti soggetti concorrono e che ha come fine il bene comune


Signori Senatori della Margherita, so che conoscete in che situazione disastrosa versi l'Italia da quando i nuovi barbari hanno avuto accesso al potere. Certo essi solo lì per volere del popolo e questa è una verità inoppugnabile; anche se noi conosciamo bene i perché e i mezzi adoperati per giungervi.
Pur consapevole degli scopi della nuova riforma scolastica e della sua blindatura io vi scrivo per chiedere un aiuto in favore della scuola statale italiana; non a caso ho sottolineato la parola "statale" perché poco mi ha convinto e poco ho gradito la posizione espressa dalla Margherita per il referendum del 6 ottobre scorso nel Veneto sui buoni scuola.
Non un inserimento in qualche discorso di propaganda o di disappunto. Come insegnante, cittadino della Repubblica io vi chiedo qualcosa di più, un impegno costante e continuo a tutti i livelli. Se è vero come è vero che la scuola forma i cittadini di domani, una scuola fondata sui principi della riforma formerebbe uomini che poco avrebbero dell'umanità che oggi conosciamo. Un salto a ritroso di cento anni, ecco cosa accadrà ai nostri bambini, giovani.
   

Giancarlo Ambrosini
insegnante elementare

Risponde Tino Bedin

L'impegno dei senatori del gruppo Margherita-L'Ulivo per la scuola pubblica è stato in questa legislatura costante ed ha assunto un ruolo significativo proprio nel contrasto alla legge delega per la controriforma Moratti, in occasione della quale la senatrice Albertina Soliani (capogruppo Margherita-L'Ulivo in commissione Istruzione) ha svolto il ruolo di relatore di minoranza a nome di tutto l'Ulivo. Può quindi contare su di noi e lo possono fare gli insegnanti e i genitori della scuola pubblica italiana.
Sono partito da qui per evitare il rischio che persone che hanno chiara la consapevolezza del pericolo sociale costituito dalla Destra al potere finiscano per dimenticare l'avversario politico nel momento in cui discutono tra di loro. È successo molte volte nel centro-sinistra e non è stato un vantaggio per la società italiana.
Detto questo, come vede, anch'io ho sottolineato un aggettivo dopo la parola scuola. Ho scelto - e sottolineato - l'aggettivo "pubblica", volutamente sostitutivo dell'aggettivo "statale".
La scuola che vogliamo è "pubblica", perché è parte del bene comune; è esattamente l'opposto del sistema scolastico e formativo che ha in mente il governo; le Destre hanno in mente l'istruzione come percorso individuale, la scuola a domanda privata, fornitrice di deboli prestazioni senza progetto, la codificazione della differenziazione sociale.
La scuola che vogliamo è "pubblica", perché è destinataria delle risorse di tutti. L'azione dell'attuale governo è fuori da questa prospettiva; è minimalista, senza risorse, senza priorità, senza investimenti. Oggi l'istruzione è ai margini dell'attenzione della maggioranza. Ben altre sono state e sono le sue priorità.
La scuola che vogliamo è "pubblica", perché è uno degli elementi della democrazia vissuta. Noi intendiamo che le politiche per l'istruzione come politiche di connessione: tra l'istruzione, l'università, la ricerca; tra la formazione, l'occupazione, lo sviluppo, il welfare.
La scuola che vogliamo è "pubblica", perché è uno dei luoghi dell'autonomia e della partecipazione. Essa è aperta a istituzioni diverse, operanti secondo standard normali rigorosi, che interagiscano in modo paritario sulla base di una programmazione comune, dei percorsi e degli scambi possibili. L'unitarietà del sistema è garantita da standard nazionali: relativi sia ai livelli di competenza da raggiungere nelle varie tappe e alla loro rilevanza professionale, sia alla qualità dei servizi, sia alla formazione dei docenti formatori.
Questa scuola pubblica l'Ulivo aveva cominciato a realizzarla con la legge di riforma ora abrogata, con la legge sull'autonomia, con la legge sulla parità. Sono tutte leggi che si tengono, che formano il quadro di una scuola di tutti e per tutti, alla quale concorre la comunità nazionale sia attraverso le sue istituzioni repubblicane (lo stato, le regioni, gli enti locali), sia attraverso le sue articolazioni comunitarie (parrocchie comprese).
Io non credo che l'Ulivo possa arretrare rispetto a quello che ha costruito nella sua legislatura nazionale. Ciò non può avvenire per l'autonomia delle istituzioni scolastiche, oggi minacciate dalla devoluzione. Ciò non è possibile per la partecipazione di più soggetti al sistema pubblico integrato di formazione.
Di quest'ultimo aspetto l'Ulivo deve ormai discutere solo le forme. Il referendum in Veneto sui buoni scuola non è stato voluto dalle Destre contro il centro-sinistra. Esso è stato proposto dopo che in consiglio regionale le forze dell'Ulivo avevano espresso valutazioni differenti sulla proposta della giunta regionale e quindi con la consapevolezza che questa diversità di opinioni si sarebbe espressa anche in occasione del referendum. I promotori hanno quindi scelto di mettere l'Ulivo in una posizione poco "gradevole" (uso una parola sua). Il risultato non è stato solo la scontata conferma della legge regionale.
A mio parere - comunque - il maggiore pericolo per la società veneta e per l'Ulivo che vuole interpretarla non è stata la decisione di chiedere il referendum e non è stata neppure la divaricazione del centro-sinistra in quella occasione. Il rischio maggiore è che si resti fermi a domenica 6 ottobre 2002, che non si facciano passi avanti, che non si costruisca - come è avvenuto nella legislatura dell'Ulivo a livello nazionale - una nuova cultura condivisa della scuola "pubblica" che oggi abbiamo, tutta intera, prima che il governo delle Destre la affidi un pezzo alla volta al mercato.
Le dice niente - ad esempio - l'enfasi che viene data alla scuola dell'infanzia affidata alle imprese? Certo risponde ad un bisogno, ma qui sì si privatizzano i bisogni e le risposte. Eppure non sento allarmi.

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14 agosto 2003
di-273
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Tino Bedin