Ca' Oddo e kartodromo

 
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Saletto (Padova), 6 luglio 2003

Un territorio in cui gli uomini si ritrovano senza natura
Nordest: la crescita che rende più poveri
Una sfida da vincere nella Bassa padovana


Il Nordest sorvolato di notte, dal Veronese al Pordenonese, appare come una nebulosa con il suo massimo addensamento nell'esagono con i vertici in Padova, Vicenza, Bassano del Grappa, Montebelluna, Treviso e Mestre: colpisce gli occhi un indistinto luccichio, una capovolta via Lattea, dove case e fabbriche si confondono.Qui la campagna è stata divorata dal cemento, l'aria inquinata da traffico e ciminiere, il fragile agricolo reticolo stradale è stato reso totalmente insufficiente a sostenere l'imponente traffico di Tir ed auto. In una situazione dove gli uomini si ritrovano senza natura (aggredita dall'onnivora espansione urbanistica industriale) e senza adeguata viabilità, la qualità della vita non può che subire un inesorabile scadimento.
In una società, dominata dalla corsa all'illimitato arricchimento, il lavoro si impossessa di gran parte del tempo di vita, a cui dobbiamo aggiungere il tempo sperperato negli ingorghi stradali. L'asfalto, non solo inghiotte molte delle nostre ore, ma spesso si porta via la vita dei veneti, soprattutto giovani.
La scarsa lungimiranza ha portato al saccheggio del territorio, togliendo al paesaggio veneto, soprattutto nella fascia centrale, la sua dolcezza. Sono stati obliterati gli alberi, le siepi, i prati, ingrigiti i tramonti e diradati i bambini che un tempo infondevano serenità e godimento all'animo.
Adesso, i sostituti della natia identitaria natura perduta, dobbiamo andarli a cercare lontano, in luoghi esotici: surrogati che ci lasciano l'amaro in bocca perché non appartengono alla nostra quotidianità
Allo stesso tempo, il modello del Nordest è rimasto privo di braccia per mandarlo avanti, in quanto, presi tra i denti del micidiale ingranaggio di una crescita esasperata, anche i figli sono diventati un disturbo. Non avendo più braccia autoctone per sostenere un sistema produttivo che si è espanso oltre misura si è costretti a importare uomini (immigrati), che risultano utili in fabbrica, ma sono mal tollerati nella società. L'altra soluzione che sta avanzando per sconfiggere i fattori limitanti della crescita è quella di insediare le nuove fabbriche nei paesi dell'Est europeo o in Estremo oriente. Mentre tra la fine dell'Ottocento e la metà del Novecento le famiglie povere, ma ricche di braccia, erano costrette a disperdere i propri figli per il mondo, adesso un Nordest opulento, ma senza figli, porta le fabbriche su altre terre.
Il modello nordestino si è, quindi mangiato il verde, impadronito di una frazione importante del nostro tempo di vita e contemporaneamente ha tolto la voglia di fare figli.
Infatti, l'obiettivo dell'espansione economica senza limiti, ha spinto il Nordest solamente verso la crescita che è aumento quantitativo su scala fisica, evitando di perseguire lo sviluppo che è miglioramento qualitativo o dispiegamento di potenzialità. Già, perché un'economia può crescere senza svilupparsi, ma può anche svilupparsi senza crescere.
Soprattutto il Veneto, avendo perseguito la strada della crescita illimitata, si ritrova gigante con i piedi d'argilla, perché rimasto con poca natura e pochi figli. Cosicché, adesso, esso assomma le difficoltà caratteristiche del periodo protoindustriale, quando il capitale umano era il fattore limitante, e quelle della contemporaneità, con il capitale naturale che si configura sempre più come nuovo fattore limitante.
In tale situazione il motore del "modello veneto" non poteva che imballarsi, come è stato puntualmente rilevato dai sensori della Fondazione Nordest.
Abbiamo dimenticato la regola che quando la crescita delle dimensioni fisiche dell'economia umana si spinge oltre la capacità di carico di un territorio diventiamo tutti umanamente più poveri. Magari con il piacere di un gruzzolo di denari in banca, ma con l'infelicità nell'anima.
Il Nordest, dopo decenni di prorompente crescita quantitativa, se vuol darsi un futuro, deve cambiare rotta e imboccare la strada di un durevole sviluppo qualitativo: puntare sulle nuove tecnologie a basso impatto ambientale, sul riordino e risanamento del territorio, sul trasporto pubblico collettivo, su un più alto livello di istruzione e su una maggiore equità sociale. Si tratta di un percorso che va supportato dai valori portati dall'etica della Terra, per ritornare a con-vivere dentro la comunità biotica del Nordest, dove l'uomo non si senta più egoisticamente il pinnacolo della creazione.
   

Lucio Pasotto

Risponde Tino Bedin

So che è in gran parte vero quello che Lucio Pasotto propone in quella che egli definisce "amara riflessione". So anche che la sintesi tra conto in banca e "conto in vita" non è semplice, che non può essere individuale, che quindi è uno dei compiti della politica; meglio è una delle ragioni per le quali fare politica.
C'è una parte del Veneto, le province di Padova e Rovigo a nord e a sud dell'Adige nelle quali per ragioni storiche è probabilmente possibile provare a realizzare la qualità dello sviluppo potendo contare su un territorio non ancora del tutto compromesso. Io credo che sia necessario provarci. Ho personalmente posto questo tema tra le sfide che l'Ulivo del Montagnanese e del Conselvano deve proporsi in vista delle elezioni amministrative del prossimo anno, perché servono indubbiamente leggi nazionali e leggi regionali, ma servono soprattutto persone che siano espressione del nuovo sviluppo del Nordest.

    Partecipa al dialogo su questo argomento

11 luglio 2003
di-252
home page
scrivi al senatore
Tino Bedin