Egregio senatore, le "regole", sulle quali si fondano tutte le società esistenti, sono il frutto di una serie infinita di mediazioni e scelte operate dai potenti di turno, prodotte dal passato e dal continuo lavoro d’adattamento del presente sempre in evoluzione (forse questo basterebbe a dimostrare che le “cose tanto perfette” da non poter essere discusse e modificate, anche se parte della Costituzione, potrebbero non esistere). Per come vanno attualmente le cose per i cittadini, che come il sottoscritto vivono in questa parte del mondo, intendo quelle situazioni strutturali e quotidiane che discendono dalla pratica applicazione delle "regole", mi sento poco disponibile a condividere il diffuso... "tutto bene!".
Per chiarezza vorrei precisarle che, soprattutto dopo le vicissitudini politiche degli ultimi lustri, mi è ormai chiaro che il difetto è nel sistema più che negli uomini o nelle colorazioni politiche. Il mio quesito, molto ingenuo ma volutamente fiducioso nelle altruistiche motivazioni degli uomini, che come lei costituiscono la classe dirigente, è: se davvero è il “bene dei cittadini” il fine ultimo delle quotidiane fatiche dei preposti responsabili, perché non si sostiene (facendo temporaneamente violenza alla tanto cara consuetudine di fare scelte per tutti; dei quali almeno il 49% probabilmente avversi) l’opportunità di sostenere l’avvio di piccole comunità sperimentali autonome (poteri politici e finanziari, soprattutto speculativi: esautorati) capaci di edificare e sperimentare dal vivo modelli di vita, alternativi a quelli attualmente imposti dall’alto, col “solo obiettivo” di dimostrare quelli o quello più idoneo a favorire un livello di qualità esistenziale oggettivamente migliore?
Se, contrariamente a quanto penso, le risultassero “in costruzione” modelli alternativi capaci d’offrire speranze nel senso suesposto, le sarei molto grato volesse gentilmente segnalarmi come mettermi in contatto, per seriamente valutare la possibilità di partecipare di persona.
In caso contrario, mi consideri disponibile ad offrire il mio personale contributo di esperienze, che pur nella doverosa consapevole umiltà, potrebbero allargare il tema accennato in questo messaggio, volutamente “stringato” e ridotto all’essenziale.
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Renato Ronchi
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Risponde Tino Bedin
Non sono a conoscenza - almeno nella mia regione, il Veneto - di esperienze quali lei descrive. Tuttavia è su un altro punto che mi permetto di richiamare la sua attenzione.
Esistono già nella nostra organizzazione repubblica delle strutture "piccole ed autonome": sono migliaia di piccoli Comuni, intendendo quelli almeno fino a 15 mila abitanti, nei quali sarebbe ancora possibile amministrare facendo "rete" tra cittadini ed associazioni. Inoltre si potrebbero sperimentare in queste dimensioni anche forme di organizzazione sociale alternativa (orari di servizi, disponibilità di persone, revisione del piano regolatore in funzione delle aree agricole e non di quelle industriali).
Ovviamente dipende dalle persone che amministrano; ma queste persone non vengono "da fuori", sono elette dai cittadini. Nelle piccole dimensioni gruppi di cittadini possono organizzarsi anche indipendentemente dai partiti.
Insomma lo strumento per provare c'è. Bisogna avere voglia di utilizzarlo.
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