Acqua e servizi pubblici

 
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Padova, 13 giugno 2003

È possibile fermare la messa in vendita del mondo?
L'acqua: un bene naturale
è sempre più solo una merce

La salute dei veneti (elemento della loro ricchezza) si è accresciuta con l'acqua corrente in tutte le case


Vi segnalo un breve , ma ricco di spunti, articolo ("Il futuro dell'acqua tra guerra e mercato") apparso sul mensile "Aggiornamenti Sociali", giugno 2003.
Ho trovato conferma intanto che la "idropolitica" (definita "politica fatta con l'acqua" giacchè il suo ciclo investe praticamente tutte le attività umane: agricoltura, industria turismo, attività domestiche) è un elemento determinante nel processo di sviluppo o non, di pace o non, del nostro pianeta e delle diverse realtà statuali.
Se la logica dell'agire umano è quella della competizione senza regole né controlli, dice l'autore, in un sistema internazionale anarchico formato di Stati sovrani che puntano al proprio interesse nazionale, "le future guerre per l'acqua appaiono praticamente inevitabili".
Particolarmente drammatico è il risvolto sul versante dei consumi domestici: un miliardo e cento milioni di persone non hanno accesso a una fonte sicura di acqua potabile e due miliardi e mezzo di persone non dispongono di servizi igienici adeguati.
Quali le prospettive? Invero preoccupanti posto che il ruolo degli attori privati nella gestione del ciclo dell'acqua sta rivelandosi, da alcuni anni, in crescente ed invadente espansione, grazie anche anche alle pressioni a livello internazionale di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale (i soliti noti!). L'autore fornisce alcune cifre significative. Due multinazionali francesi (Suez e Vivendi) "forniscono da sole l'acqua a un centinaio di città per un totale di 250 milioni di persone nel mondo (nel 1980 erano solo 100.000). Insieme agli altri gruppi del settore... fatturano annualmente circa 400 miliardi di dollari, cioè il 40 pewr cento del fatturato del settore petrolifero. Calcolando che l'acqua gestita dai privati per il momento è soltanto il 5 per cento delle risorse idriche mondiali, si intravvedono i grandi margini di profitto che attirano gli investitori".
Ricordo che nell'aprile del 2000 a Cochabamba (Bolivia) si verificò una rivolta popolare (morì un ragazzo di 17 anni e i feriti furono un centinaio) contro la gestione dell'acquedotto (multinazionale americana Bechtel) che aveva aumentato del 50 per cento le tariffe, obbligando le famiglie più povere a spendere per l'acqua fino al 25 per cento delle proprie entrate. L'UNESCO ha verificato che un campo da golf in Malesia arriva a consumare in un anno tanta acqua - nello stesso periodo - quanto ne impiega un villaggio rurale di 20.000 abitanti.
Il nodo cruciale è la risposta che si dà all'interrogativo: l'acqua è un bisogno o un diritto fondamentale? Se è un bisogno si soddisfa secondo le possibilità, le circostanze, le opportunità; se è un diritto della persona, di tutte le persone, allora vi è un obbligo dell'autorità pubblica (nazionale e/o internazionale) di determinare, promuovere, controllare la sua fruibilità.
A livello mondiale appare abbastanza chiara la scelta commerciale ed economica.
Il WWC (World Water Council), organismo composto di Stati nazionali, agenzie ONU, Banca Mondiale, organizzazioni professionali internazionali e delle imprese private (quest'ultime tre le più attive, documentate, propositive) ha fatto sì che nelle varie Dichiarazioni stilate alla fine delle varie megaconvenzioni mondiali (Kyoto, ...) risultasse alla fine, al di là della cortina fumogena di belle parole, che l'acqua è merce sulla quale si fanno investimenti e relativi profitto; il tutto secondo le logiche di mercato senza considerare che un elemento naturale e primordiale come l'acqua per sua natura intrinseca è bene naturale, è risorsa, sempre più limitata, per assicurare dignità e benessere a tutti indistintamente.
Nel prossimo settembre a Cancun (Messico) è previsto un importantissimo apppuntamento per un Accordo Generale sul Commercio dei Servizi (GATS). In sostanza una liberalizzazione, praticamente senza alcuna regolamentazione da parte dei governi nazionali, di circa 160 settori di servizi (trasporti, grande distribuzione, servizi finanziari, postali, telecomunicazioni, energia, acquedotti, sanità, istruzione).
E' possibile fermare questa corsa verso una messa in vendita del mondo? Forse non è troppo tardi perchè ciascuno, ai vari livelli, faccia la sua parte.
   

Giovanni Susini

Risponde Tino Bedin

L'allarme è giustamente sui poveri del mondo. Credo però che queste argomentazioni ci riguardino anche direttamente, anche in Veneto. La corsa alla privatizzazione dei beni e servizi essenziali, come gli acquedotti municipali e consortili, ci porta davvero nella direzione giusta? L'economicità della gestione è l'unico criterio di valutazione? Una comunità locale autentica può accontentarsi di avere l'acqua o non deve preoccuparsi che ci sia acqua per tutti? La nostra salute, la nostra ricchezza sono derivate anche dalla disponibilità di acqua che con spirito solidaristico è stata portata in tutte le case, anche dove poteva sembrare che non fosse economicamente conveniente. Vogliamo tornare indietro?

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21 giugno 2003
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