Dino Scantamburlo

 
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Camposampiero (Padova), 28 maggio 2003

Rischiamo di venire coinvolti in un radicale cambiamento di fatto delle nostre istituzioni
2 giugno: cambia la Costituzione?
Il parlamento si è preoccupato più della "forma di stato" che della "forma di società"


È in atto un cambiamento non legislativo - perché si diffonde in una certa cultura e soprattutto nella prassi politica e di governo - della parte della Costituzione che si riferisce ai principi fondamentali e ai diritti e doveri dei cittadini.
Questo è un fatto possibile e anche legittimo, se realizzato - come è stato detto - per meglio definire problematiche complesse e aspirazioni nuove che si sono presentate in questi 57 anni e che possono riguardare, ad esempio, il valore dell'unità europea, la regolamentazione dell'uso dei mezzi di comunicazione, una definizione chiara del principio di sussidiarietà, il ruolo del terzo sistema tra stato e mercato, un'organizzazione più federale del nostro Stato.
Ma i principi che regolano i rapporti civili, quelli etico-sociali, economici, politici tra i cittadini e tra gli stessi e lo stato, appaiono tuttora di straordinaria attualità e valore: su di essi si sono costruite e consolidate le istituzioni democratiche, si sono eliminati ostacoli e barriere sociali, economiche, culturali e di fruizione dei diritti tra i cittadini, sono cresciuti il senso di cittadinanza e la coesione sociale.
Tuttavia, proprio su questi è in atto, in una certa cultura e prassi politica, un progressivo allontanamento dallo spirito e talvolta anche dalla lettera della Costituzione. Essi riguardano:
- il rifiuto della guerra e perciò anche di quella preventiva, concetto acquisito nella cultura storico-politica ormai da qualche secolo, ma oggi posto in discussione;
- il principio proprio di uno stato di diritto, che la legge è uguale per tutti i cittadini, che il sovrano è il primo cittadino che deve sottoporsi alla legge che fa osservare agli altri cittadini e proprio per questo può e deve sempre invitare all'assoluto rispetto di essa;
- la separazione dei poteri e il reciproco rispetto tra gli stessi;
- la preminenza dell'interesse generale su quello personale o di lobby;
- la affermazione del primato dell'etica e della politica sull'economia;
- il senso dello stato quale entità organizzata della vita collettiva, da rispettare e del quale l'autorità pubblica è a servizio e ne è strumento responsabile per il bene effettivo di essa. In questo contesto, sanità, scuola, lavoro devono essere davvero garantiti dallo stato a tutti i cittadini e con pari efficienza;
- il senso di appartenenza a una comunità nazionale, che si contrappone a concetti, tentazioni, prove di divisioni e separazioni e che richiede a chi è chiamato a governarla di manifestare serietà, competenza e amore al paese che governa; - il dovere dell'equa contribuzione per tutti i cittadini, al di là di condoni e sanatorie che rispondono a populismo o a incapacità di controllo e che inducono i cittadini a non rispettare le norme.
Nelle culture che l'hanno pervasa, nei suoi contenuti, nel metodo di lavoro che ha portato alla stesura della carta costituzionale e poi alla sua impegnativa, ma continua applicazione nei 57 anni successivi, stanno l'impegno per il superamento delle divisioni ideologiche e politiche attorno ai grandi valori condivisi, il principio della coesione sociale, che dovrebbe costituire un obiettivo cardine di ogni governante, il quale non è mai un capofazione o uno che esaspera le differenze.
Potrebbe portare a conseguenze gravi se, come cittadini, come pubbliche istituzioni, come variegato mondo associativo, come cristiani e chiese, non divenissimo consapevoli che rischiamo di venire coinvolti in un radicale cambiamento di fatto delle nostre istituzioni, in un appannamento del principio della legalità, nell' abbandono del valore della solidarietà, nella prevalenza della logica mercantile e del successo economico sulle regole della politica, nella nostra dipendenza reale, ma sempre più inconsapevole, da chi può manovrare opinioni e consenso.
Ma è questo che vogliamo? Gli italiani non hanno espresso queste aspirazioni!
Il 2 giugno ha significato pieno per l'Italia, se si collega al 25 aprile - (25 aprile - democrazia - repubblica) - a un nuovo 25 aprile di insurrezione riflessiva, critica, morale, che scuota consapevolezze consolidate, che induca a riflettere su simili comportamenti e scelte dei nostri responsabili e di coloro che li sostengono, che si opponga a interpretazioni distorte e di interesse dei principi e delle norme fondamentali che hanno sviluppato sul piano civile, culturale, economico, l'intera società italiana.
Fino ad ora poteva trattarsi di timori e sospetti discutibili o non fondati.
Ma ora sembra arrivato il tempo in cui riscontrare in modo netto e coinvolgente rispetto ad altri tempi che, pace, giustizia, solidarietà, uguaglianza sono il fondamento etico di questa democrazia la quale non ci è stata data una volta per tutte in un momento eroico e ormai mitico del passato, ma richiede ogni giorno - ed ora in particolare - la nostra fatica, il nostro impegno e la nostra responsabilità.
L'accidia o, peggio, la disponibilità allo scambio con qualche risultato di parte o la rassegnazione potrebbero portarci a una situazione che non ci permetta poi, se non a prezzi troppo alti, il recupero di quei principi e valori tuttora scritti nella Costituzione ma ritenuti, ahinoi, fastidiosi e di ostacolo da qualche politico e da coloro che lo seguono, comunque!
   

Dino Scantamburlo
coordinatore della Margherita padovana

Risponde Tino Bedin

Impegnati in dibattiti istituzionali, molti parlamentari hanno pensato - e continuano a pensare - che la "forma di Stato" sia più importante della "forma di società", che la Costituzione non impone ma rappresenta. Spero che - nonostante questo - la dimensione etica della nostra Costituzione non sia superata nella maggioranza dei cittadini italiani. Anzi che da essa si ricavino nuove istituzioni.

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31 maggio 2003
di-223
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Tino Bedin