Diplomi universitari

 
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Padova, 30 dicembre 2002

Un paradosso che ha gravi conseguenze per la ricerca e per l'occupazione
I diplomi universitari rilasciati in Italia
sono lauree in Europa ma non in Italia

Alla Camera ci sono disegni di legge sull'ordinamento universitario: tenere conto del sovrapporsi delle riforme


Le scrivo a proposito della situazione dei diplomati universitari in Italia. Nonostante una trasmissione radiofonica sull'argomento e alcuni articoli sui giornali, la questione è passata sotto silenzio e tutto è ancora incerto. Non troverà in questa lettera un approccio formale o una descrizione squisitamente giuridica, ma piuttosto il malcontento, la delusione, la sfiducia di quasi un'intera generazione di cittadini italiani.
Mi sono iscritta ad un corso di Diploma Universitario perché incoraggiata da chi (mi riferisco agli atenei sovvenzionati dall'Unione europea) sosteneva l'assoluto valore accademico e la spendibilità lavorativa di un tale titolo. Ho conseguito il titolo di Diploma Universitario in Metodologie Fisiche (detta in Italia anche "laurea breve" in Fisica) nel marzo 2000, ma ho dovuto fare presto i conti con la realtà. Non solo il titolo non era affatto spendibile né in aziende pubbliche, né in quelle private, ma con l'ultima riforma universitaria attuata ha perso ogni valenza. Le motivazioni che hanno spinto così tante persone a questa scelta non sono state, come pensa qualcuno, l'incapacità e la prospettiva di uno sforzo minore, anche perché così non è stato, ma piuttosto la ferma convinzione di conseguire una preparazione più pratica, volta ad un più facile inserimento nel mondo del lavoro, e l'adeguamento al sistema scolastico europeo che, sicuramente, raccoglieva più successi e mieteva meno vittime, ma soprattutto evitava "parcheggi" negli atenei. Il lavoro e gli sforzi li abbiamo fatti, abbiamo contribuito a finanziare le università, esattamente al pari di tutti. Nessuno sconto, nessuna facilitazione: frequenza obbligatoria dei corsi, e di conseguenza nessuna possibilità di svolgere una qualsivoglia attività lavorativa, sbarramenti nel prosieguo degli studi, stage finale presso aziende e tesi, penalizzazioni sul punteggio finale a causa di eventuali ritardi nel conseguimento del titolo. Molti di questi aspetti sono parte integrante della nuova riforma universitaria: è evidente che siamo stati delle cavie.
Ciò che più ci caratterizza è la delusione, l'assoluta sfiducia nel sistema scolastico e legislativo italiano e anche europeo. Negli altri Paesi dell'unione europea il nostro titolo è pienamente riconosciuto (come Bachelor) e l'accesso ai master ed ai dottorati è consentito senza alcuno sbarramento, né debito, mentre in Italia non è riconosciuto (lo è solo il nuovo titolo di laurea triennale di I livello). Poi qualcuno si meraviglia della fuga dei tecnici all'estero! Ancora sento commenti sulla inutilità e l'assoluta mancanza di valore del titolo di Diploma Universitario, specialmente da parte di chi, nelle aziende, si occupa della ricerca del personale.
Ciò che le università ci richiedono per il conseguimento del titolo di laureato triennale, che in realtà ci spetterebbe di diritto, è un'altra iscrizione, con altre tasse (più alte perché trattasi di secondo titolo accademico: oltre al danno la beffa), altra tesi, altri esami, e frequenza obbligatoria. Insomma un altro anno: 4 anni per conseguire un titolo triennale.
Aspiro almeno ad un'equipollenza dei diritti con il nuovo titolo triennale (accesso agli stessi concorsi, alle stesse posizioni lavorative, agli stessi trattamenti retributivi, ecc...). Mi chiedo perché se 4 (anni di alcuni vecchi corsi di laurea, come Fisica) è uguale a 5 (anni dei suddetti corsi di laurea nel nuovo ordinamento), 3 (anni del Diploma Universitario) non è uguale a 3 (anni della laurea di primo livello)? E perché le equipollenze vengono riconosciute solo ad alcune classi (ISEF, Diplomati sanitari, settore artistico)? Qualche malalingua afferma che ciò sia dovuto al fatto che alcuni deputati italiani appartengono a tali categorie. Devo candidarmi? Per di più all'orizzonte si profila la nuova riforma che renderebbe perfettamente inutile anche lo sforzo di conseguire il titolo di laurea triennale, creando ulteriore confusione.
Cosa fare: iscriversi con tutto l'onere che ciò comporta o attendere ancora sperando nel miracolo dell'equipollenza? Se dovessi decidere per l'iscrizione correrei il rischio di sprecare soldi, tempo, risorse nel caso in cui il miracolo dovesse avverarsi; se decidessi al contrario di aspettare il miracolo, correrei il rischio di sprecare un altro anno (è dal febbraio 2001 che sto combattendo per il riconoscimento del mio titolo, ed è da questa data che ascolto menzogne e false promesse da parte dell'università e delle istituzioni governative).
Alla luce del fatto che l'Unione europea ha sovvenzionato i diplomi universitari italiani per consentire l'adeguamento del sistema scolastico italiano a quello europeo, rendendo possibile l'attuazione definitiva della riforma universitaria, e del fatto che i diplomi universitari rilasciati in Italia sono riconosciuti come lauree di primo livello solo dagli altri paesi dell'Unione (ma non in Italia!), chiedo che sia vagliata questa situazione riprovevole finora passata sotto silenzio nell'indifferenza generale.
Un diritto riconosciuto solo ad alcuni e non esteso a tutti è una discriminazione e di per sé costituzionalmente illegale. Perché dovrei contribuire col mio studio e col mio lavoro alla crescita di una nazione che mi nega un diritto, che mi nega il presente ed il futuro? Certa di non avere né la forza né il potere di cambiare le cose, spero almeno di aver riportato alla luce un malcontento e di aver sottolineato che dietro le decisioni politiche ci sono fortissime ripercussioni sulle persone e sulle vite di queste.

Ilaria Gullà
Risponde Tino Bedin
Il percorso legislativo per le materie che le interessano è ancora in corso; in particolare in questo momento alla Camera dei deputati sono in discussione disegni di legge sull'ordinamento universitario, all'interno dei quali va data compiutezza alle riforme anche eliminando le disparità che si sono create per il susseguirsi di ordinamentio. La sua lettera quindi è tempestiva e spero sia utile ai colleghi che lavorano nella Commissione Cultura, dove con maggiore precisione si dovrebbe intervenire.

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30 dicembre 2002
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