Legge 185

 
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Padova, 25 settembre 2002

Una domanda centrale nel dibattito sulla modifica della legge 185 del 1990
Deve l'Italia avere una propria industria della Difesa o deve dipendere da altri?
Forse più che l'Italia è l'Europa che deve porsi questo obiettivo


Caro Senatore, ti tingrazio per avermi mandato la nota di segnalazione sulla discussione della riforma della Legge 185. Sono completamente d'accordo sui rilievi che fai alla maggioranza riguardo al metodo che sta adottando di limitare la discussione in Commissione.
Non sono invece d'accordo, ma non è per te una novità, sull'agitazione che ha preso anche alcuni parlamentari dell'Ulivo riguardo a questo disegno di legge, anche perchè, al di là della specifica legge, la questione comporta scelte strategiche nazionali su cui bisognerebbe riflettere bene prima di decidere se andare in un senso o nell'altro.
In estrema sintesi, sono convinto che la revisione della Legge 185 non cambi sostanzialmente la legge; semplifica alcune procedure, soprattutto in ambito Nato ed europeo. Purtroppo alcune procedure previste dalla 185 sono decisamente assurde anche perchè sono meri passaggi burocratici. Gli altri Paesi, soprattutto Nato ed europei, non le capiscono e quando noi insistiamo per ottenere la certificazione di arrivo, controfirmata dalla nostra ambasciata, spesso ci rispondono: Ma vi abbiamo già dato l'END USER per ottenere la licenza di esportazione. E così passano i mesi, se non gli anni.
E' ovvio che gli altri Paesi, Francia ed Inghilterra in prima fila, approfittano di queste difficoltà dell'industria italiana.
Quindi, il tema non è come revisionare la 185 od il suo mantenimento, ma il tema è: "Deve avere l'Italia una industria della difesa o deve dipendere dagli altri Paesi, Usa per primo?". Questo è il tema perché, se le industrie non esportano, le quantità richieste dalle Forze armate italiane non sono sufficienti a sostenere le spese di Ricerca e Sviluppo.
Queste cose non me le invento io, le ha dette, tra gli altri, anche Romano Prodi quando era Presidente dell'IRI. Vogliamo bollare anche lui come "mercante di morte"? Sulla stessa linea era anche il povero Andreatta che, se potesse parlare, sarebbe senz'altro più convincente di me e sicuramente smorzerebbe i toni che alcuni parlamentari della Margherita stanno assumendo.
Comunque, auspico che le audizioni in Commissione che hai richiesto possano essere accolte, ma credo che sarebbe certamente utile anche un confronto pubblico non orientato. Se, come è avvenuto qualche mese fa, il dibattito lo organizzano i Comboniani, è chiaro qual è la tendenza che si manifesta. Ovviamente i Comboniani fanno bene a predicare la Pace perpetua; non possono acriticamente farlo, a mio parere, i parlamentari a cui spetta la mediazione tra le varie esigenze che emergono all'interno della nazione.

Alberto Vernizzi
Risponde Tino Bedin
Caro Vernizzi, non credo che sia l'unica domanda che come parlamentare mi devo porre, ma è certamente quella che tu proponi è una delle domande centrali che mi sono poste e mi sto ponendo. Con una sola variazione: deve l'Europa (non solo e non tanto l'Italia) avere un'industria europea della Difesa che le consenta di sostenere la propria politica di Sicurezza e di Difesa, accanto ma non sotto gli Stati Uniti? La mia risposta è sì. La mia convinzione è che l'accordo di Farnborough rende possibile questa prospettiva, mentre il disegno di legge del governo la allontana o addirittura la vanifica consentendo accordi bilaterali e allargando le procedure alle singole imprese.
Sono anch'io convinto che la materia vada approfondita. Per questo abbiamo chiesto di ratificare subito l'accordo internazionale e poi di affrontare l'ammodernamento della 185. Finora non ci è stato consentito.

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23 ottobre 2002
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