IN DIALOGO TRA CITTADINI

Treviso, 20 settembre 2002

La risorsa energetica resta al centro dello scontro
Soldi alla guerra o alla ricerca di alternative al petrolio?
C'è un certo ripiegamento dell'Occidente sui problemi contingenti, senza il respiro del futuro


Poiché ci è stato chiesta la nostra opinione sull'ipotesi della guerra "preventiva" contro l'Iraq mi permetto di svolgere alcune mie riflessioni sull'argomento.
Per semplicità espositiva vorrei rispondere in modo riassuntivo all'interrogativo: dobbiamo essere favorevoli e contrari alla guerra "preventiva" o non?
 Sul "non" si potrebbe dissertare distinguendo fra guerra "giusta" oppure su "guerra difensiva" e via dicendo.
Sulla guerra difensiva la mia posizione, credo che dovrebbe essere anche la posizione della sinistra, è che fare una guerra preventiva è segno di debolezza, mancanza di idee alternative verso mille altre possibilità di risolvere il conflitto e può essere sintomo di interessi che si nascondono sotto questo tipo di azione ( e di questo parlerò successivamente).
Sugli altri tipi di guerre, scontato il concetto che la guerra, comunque venga definita, deve essere assolutamente l'ultimo ratio a cui si giunge dopo aver esperito ogni serio e sincero tentativo di evitarla, bisogna aver ben presente che nel disgraziato caso in cui si sia costretti a ricorrervi, bisogna mettere nel calcolo del rapporto costi-benefici che si deve fare prima della decisione di attuarla, il costo enorme che bisognerà sopportare per riparare, a guerra finita, ai danni fisici ed economici che si sarà costretti ad infliggere alle popolazioni contro cui si andrà a combattere. Naturalmente a prescindere dal costo non risarcibile in termini di vite umane innocenti. Infatti, la caratteristica nuova delle attuali guerre (per esempio rispetto a quelle fino alla prima guerra mondiale) è che non si confrontano più due eserciti, ma un esercito colpisce soprattutto la popolazione inerme, innocente e  in nome della cui libertà si va, appunto, alla guerra.
Mentre al primo tipo di guerra, sempre a mio avviso, la risposta è semplicemente e fortemente negativa, quando si parla di altri interventi, tutta una serie di "distinguo" essenziali devono precedere la decisione che non può però essere aprioristicamente un NO come fanno certi pacifisti utopici. Naturalmente queste tesi andrebbe ben più dettagliatamente analizzate e discusse, ma per l'economia del mio contributo mi fermo a queste essenziali asserzioni.
Vorrei però introdurre un'altra serie di argomenti che ineriscono più specificamente la ventilata guerra all'Iraq.
Vorrei che i paesi europei (almeno quelli che hanno espresso delle perplessità verso la politica della attuale Amministrazione americana)  che devono difendersi dal semplicistico ricatto "o con noi o contro di noi" oppure "sarete degli alleati di serie B", costringessero Bush ed i suoi petrolieri, mettendo in chiaro dati inoppugnabili, ad evidenziare quali sono in effetti gli interessi petroliferi che muovono i petrolieri americani ed il loro capo che tendono in effetti e al di là di speciose argomentazioni per impadronirsi della seconda risorsa di petrolio del mondo. Questo interesse americano è contrario agli interessi europei che hanno anche loro interesse ad utilizzare la risorsa petrolifera dell'Iraq, ma soprattutto non tiene conto che appunto con la finalità di acquisire il controllo di quei pozzi, scatenerebbero una serie di conseguenze gravissime su tutto il pianeta poiché tale guerra andrebbe a coinvolgere e far emergere una serie di contrasti in altri paesi: dal settore arabo (si pensi alla fragilità dei regimi dei paesi arabi pressati dal fondamentalismo islamico), all'Asia (si pensi all'annoso problema fra India e Pakistan, tutti e due con disponibilità di armamento atomico) all'Indonesia, alla Russia che approfitterebbe dell'ombra dell'attacco americano per risolvere in modo definitivo e drammatico il problema ceceno, alla Cina che si sentirebbe libera di procedere senza remore a schiacciare le minoranze e magari ad anticipare brutalmente l'annessione di Taiwan ecc.
  E tutto questo per acquisire il controllo di una fonte energetica che, comunque, verrebbe a mancare nel pianeta nell'arco di una trentina d'anni, per lasciare l'umanità in un dramma epocale se nel frattempo non si provvederà, intensificando la ricerca scientifica applicata, a trovare delle fonti energetiche sostitutive.
Non sarebbe quindi molto più intelligente da parte degli americani (e, io dico anche da parte dell'Europa) dirottare le enormi spese militari verso il potenziamento della ricerca orientata verso questo obiettivo?
Forse queste mie semplici considerazioni possono apparire semplicistiche od utopistiche, ma in tutta modestia io credo che siano molto più pregnanti di quello che sembrano o che possano essere tacciate di essere.
Senz'altro credo di essere molto più disincantato di coloro che credono o a cui fanno credere che si farebbe la guerra per combattere il terrorismo internazionale. Quella è un'altra faccenda contro la quale bisognerà combattere con le armi molto più difficili e complicate: quelle dell'intelligence e della cooperazione internazionale. Con il dialogo fra diverse civiltà, con l'arma della comprensione fra i popoli che, siccome è cosa complicata, difficile, di lungo periodo è lontana dalla mentalità non solo dell'attuale Amministrazione Americana, ma purtroppo anche della mentalità americana. Ma, io credo non di quella Europea (Lega a parte, naturalmente).
Mi scuso della lunghezza del mio scritto e della mia presunzione nello scriverlo, ma la colpa è tutta vostra. La prossima volta vi guarderete bene dal chiedermi il parere. Grazie comunque per l'attenzione e cordiali saluti. 

Renzo Secco

Risponde Tino Bedin
Visto il... risultato, non mancherò di sollecitare ancora il suo parere. Le osservazioni e i giudizi che ci propone sono tutti un arricchimento del dibattito.
Credo anch'io che l'Occidente democratico abbia nell'ultimo decennio limitato la sua lungimiranza; ora governa il presente, ma sembra disinteressato al progetto per il futuro. Non si sente il respiro di una "nuova frontiera" che non replichi, sia per i giovani dell'Occidente che per i popoli del resto del pianeta, quello che già esiste.


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27 settembre 2002
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