IN DIALOGO TRA CITTADINI

Roma, 23 novembre 2001

Una madre nigeriana che rischia la pena di morte
Una lettera per salvare Safya
L'appello ad applicare in forme più umane la legge locale sulla maternità fuori dal matrimonio

Care amiche, cari amici, lo so bene: voi avete tante cose da fare e io vi disturbo troppo spesso. Ma leggete, vi prego, qualche riga di quelle che seguono e ditemi se, sapendo quello che so, posso non chiedere a tutti di intervenire.
Safya Husseini Tungar-Tudu è una ragazza nigeriana di trent¹anni, senza marito. Ha avuto un bambino e dunque, per la legge fondamentalista islamica che nel suo paese ha valore di legge penale, se non interviene una vasta protesta internazionale, fra un mese o poco più sarà posta in una buca, seppellita sino al seno e poi lapidata a morte dalla gente del suo villaggio. Chiusa nella sua capanna, in questi giorni allatta il suo bambino, che è diventato la sua condanna a morte, e chissà quali ninna nanne gli canta. Lo potrà tenere al seno per qualche settimana (144 giorni dopo la nascita), poi la trascineranno nella fossa e la massacreranno.
Possiamo fare qualcosa. Per esempio, possiamo scrivere all¹Ambasciata di Nigeria, via Orazio 18, 00193 Roma, dicendo che vogliamo che Safya viva, chiediamo che il presidente della repubblica nigeriana le conceda la grazia.
Ma bisogna che le nostre lettere siano tante e perciò vi prego di trasmettere questo appello alle vostre amiche e ai vostri amici (ANCHE QUELLE E QUELLI CHE NON HANNO E-MAIL!) e di scrivere al più presto all¹ambasciata: sapete anche voi che se non lo fate stasera stessa o domani mattina, rischiate di dimenticarvene!
Un¹ultima cosa: quello di Safya non è una questione di donne. Come sempre succede in questi casi, il padre del bambino è stato assolto per insufficienza di prove. Anche per questo, mi pare, noi maschi siamo coinvolti nella sorte di Safya. Non possiamo rimanere ai bordi della sua fossa, contemplando inerti l¹ennesimo delitto del maschilismo.

Ettore Masina
Risponde Tino Bedin
Questo appello mi è stato "girato" da Giuliano Polato di Monselice, che si è fatto carico di diffondere la conoscenza del dramma.
Bisogna che Safya viva per il suo bambino e per lei. Bisogna che Safya viva per altre mamme e per altri bambini. Se questo avverrà, vorrà dire che nel mondo culture diverse tentato di trovare convinzioni comuni, comportamenti comuni di fronte alla vita.
Insieme a numerosi senatori abbiamo immediatamente inviato il 27 novembre una al minstro degli esteri italiano Renato Ruggiero, contando su un'azione diplomatica non solo italiana. Abbiamo anche inviato una lettera al Presidente della Nigeria Olusegun Obasanio, chiedendogli di intervenire per evitare questa crudile e disumana punizione.
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25 dicembre 2001
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Tino Bedin