Egregio senatore Bedin,
commentando la recente lettera di Chiara Tapparo ad Euganeo.it, lei ha individuato nel reciproco sostegno fra generazioni nella famiglia un modello anche per la comunità. Pare anche a me un buon punto di partenza, a condizione però che nella comunità ci si faccia carico delle fragilità di ciascuna componente.
In questo momento in Italia la fragilità caratterizza soprattutto i giovani. È una fragilità di lunga durata: la denatalità è una realtà da molti anni in Italia, al punto che ormai non sono pochi solo i bambini, ma anche i giovani sono sempre meno. La loro voce è sempre meno udibile, sia socialmente che politicamente, perché la coorte demografica giovanile è nettamente minoranza rispetto alle altre coorti demografiche, ha quindi meno voti a disposizione.
Ciò vale anche in economia. Secondo le leggi del mercato, quando una risorsa è scarsa, diventa più preziosa. Se sono di meno, i giovani saranno meglio trattati? Non succede: la loro condizione non migliora, anzi spesso peggiora.
Succede anche che provvedimenti generalmente giudicati necessari come il blocco dei licenziamenti nella fase acuta della pandemia, producano effetti perversi: l'economista Carlo Cottarelli ha analizzato proprio questo intervento: il blocco ha sfavorito i giovani e le donne, in quando tutelava i rapporti di lavoro in essere, tra i quali giovani e donne sono meno.
Gran parte delle risorse stanziate destinate al grande Piano nazionale di ripresa e resilienza sono finanziate a debito, cioè sono una cambiale a carico delle future generazioni. Sono investimenti oggi indispensabili, ma proprio la loro origine richiedeva uno specifico pilastro dedicato alle politiche per gli adolescenti e i giovani, con riforme e interventi che abbiano un diretto impatto positivo per adolescenti e giovani; richiedeva un coinvolgimento diretto dei giovani nella programmazione.
Non ho visto questa attenzione e finirà che i fragili giovani di oggi rischiano di diventare adulti e di ritrovarsi sempre fragili.
Commenta Tino Bedin
La questione generazionale è probabilmente la più grande questione collettiva in Italia: parte dai sempre meno bambini e arriva ai sempre più grandi vecchi. In mezzo c'è la vita vissuta e sperata di ciascuno di noi italiani. La questione non è però né al centro delle politiche (nazionali, regionali e locali), né anima opinioni pubbliche. E intanto la questione generazionale si aggrava, perché rende fragile quella componente demografica su cui da sempre la società ha ricevuto forza e spinta, cioè i giovani, come giustamente scrive Lodovico Ferraris.
Non credo che sia in vista un cambio di atteggiamento, né della politica, né dell'opinione pubblica.
C'è però chi non si rassegna. Nella primavera scorsa sette associazioni nazionali hanno presentato il Manifesto "Prima il Futuro, Prima i Giovani", proprio con riferimento al PNRR.
Sono tre i criteri al centro del Manifesto: le scelte legate al PNRR devono avere il tratto dell'equità generazionale; le scelte devono essere di carattere strutturale, con politiche che restino nel tempo; le scelte devono garantire un ruolo attivo di adolescenti e giovani, cittadini di oggi e non solo del futuro.
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