Caro Bedin,
al centro della pandemia non si è trovato solo il sistema sanitario, con gli ospedali, la medicina territoriale, la riabilitazione. Anche il sistema sociosanitario è stato fin dall'inizio al centro della drammatica situazione che il covid-19 ha creato nelle persone, nelle famiglie, nelle strutture pubbliche e comunitarie. La sigla RSA è diventata familiare a milioni di italiani, che prima parlavano di case di riposo o di ospizi.
Devo dire che è diventata tristemente familiare, perché collegata ad un numero impressionante di morti e poi all'isolamento, alla solitudine. Mi è parso anche di cogliere un senso di disagio sociale di fronte alla "scoperta" di decine di migliaia di persone anziane costrette dalla fragilità della loro vecchiaia a vivere in residenze sanitarie assistenziali.
Ho letto che proprio per questo il sistema sociosanitario si trova al centro di un dibattito che riguarda l'esistenza stessa delle RSA: da più parti c'è chi si chiede se hanno ancora ragione di essere; ci si interroga sulla "missione" di queste strutture e sul modello organizzativo del futuro per la presa in carico di cronicità e disabilità.
Non so se questo dibattito avrà un futuro, una volta conclusa - come ci auguriamo - la pandemia. Mi piacerebbe però che non finisse qui e che non ci si accontentasse dell'inventiva e del cuore che comunque queste strutture stanno dimostrando di avere in questa emergenza epidemiologica.
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È indispensabile che questo dibattito continui, ma l'oggetto non può ridursi ai Centri servizi per anziani, alla loro organizzazione o magari alla loro esistenza. Il dibattito deve riguardare il rapporto della comunità con la vecchiaia fragile. Oggi questo rapporto "comunitario" è quasi inesistente, anche il Veneto.
Per questo credo che il dibattito debba partire qui in Veneto dall'infastidita reazione del presidente Zaia e del suo assessore alle sollecitazioni provenienti dalle strutture sociosanitarie all'inizio della pandemia: sono privati, non riguardano la Regione. Non era vero, né nella sostanza né nei fatti: e successivamente le risposte della Regione Veneto sono state l'opposto dell'indifferenza iniziale. Ma è da lì che bisogna partire, perché la prima reazione riflette il "sentire" diffuso: la vecchiaia è una questione privata, della persona e della sua famiglia.
Non è così e non solo perché la quantità del peso esistenziale e finanziario della vecchiaia fragile è tale da condizionare la società. Non è così soprattutto perché la prospettiva riguarda tutti e il futuro comune è un tema che non può non essere politico.
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