Carissimi, un'esplosione di gioia, di vita, di festa. Non riesco a togliermi dall'animo questi sentimenti, sebbene sia difficile tenerli insieme al senso di profondo straniamento che tutti viviamo in Italia in queste ore.
Sono atterrato da poco a Roma di rientro, via Addis Abeba, dal Sud Sudan. Sono stato in alcuni dei nostri luoghi di lavoro, gli ospedali di Rumbek e Yirol. Tanta gratitudine per il grande e faticoso lavoro che i nostri volontari fanno, assieme ai colleghi locali. Ma dove le emozioni mi hanno travolto è stato in uno dei luoghi più lontani e dimenticati del Paese. Nyal, 40.000 persone, nello Stato di Unity. La gente del posto era tutta lì, ad aspettare il nostro arrivo. C'era tutta la comunità raccolta per "celebrare" la nuova sala operatoria annessa al modesto centro sanitario. Non ce n'era mai stata una prima d'ora. Adesso finalmente le mamme possono partorire senza la paura di perdere la vita.
Il capo comunità ci ha ringraziato e ci ha chiesto di non abbandonarli. Ho risposto che per noi il "CON" è come un patto di sangue. "When we start, we stay" (quando iniziamo, rimaniamo) ho aggiunto, guardandolo negli occhi e sentendone forte la responsabilità.
La salute è davvero "vita" fisica e interiore, energia e gioia. Quando manca ti senti "morto", stanco, triste. La salute è creatività, voglia, movimento. Quando manca ci si ferma, non c'è più sviluppo e crescita. Rientrando in Italia, con le città deserte e gli ospedali di alcune nostre regioni in enorme sofferenza, ho percepito forte questo stato d'animo. Il "coronavirus" ha infettato il nostro paese e siamo ammalati, costretti al riposo, protetti nelle case, obbligati a fermarci. Negozi chiusi, attività bloccate, uffici e incontri sospesi. I più deboli cedono e l'economia crolla.
La vita è un filo di lana, il confine tra una parte e l'altra del mondo è labile, sottile. Trovarsi "di qua" o "di là" è questione di un attimo. L'umanità è una sola. Per questo il nostro sguardo, che resta concentrato in Africa come lo è da 70 anni, oggi vuole essere attento anche al nostro paese, partecipe al momento difficile e duro che sta affrontando. Così, in Italia, vogliamo essere vicini alle persone anziane che temono per la loro salute e che si trovano ancora più sole ad affrontare una dura quotidianità di isolamento e di povertà di relazioni: per questo ci stiamo attivando con la rete dei nostri volontari e gruppi sul territorio. Continuiamo a sostenere i molti medici rientrati che stanno operando ora negli ospedali del nostro paese con la stessa passione e competenza vissute in Africa. Sentiamo il dovere di portare un aiuto concreto, selezionando una struttura sanitaria particolarmente bisognosa e per questa attivarci e supportarla.
E poi in Africa, là dove sempre scarseggiano mezzi, assistenza, personale. Ci sono ancora pochi casi accertati di Covid-19, ma sono destinati a crescere e bisogna essere preparati. È di stamattina la notizia del primo caso sospetto ricoverato all'ospedale di Wolisso, in Etiopia. L'allerta dei nostri operatori è massima. Bisogna far di tutto per proteggere il personale e contenere l'epidemia. Il rischio di non riuscire a farlo è altissimo perché i sistemi sanitari sono estremamente fragili e non è possibile garantire cure intensive ai pazienti colpiti, non ci sono reparti attrezzati! Per questo stiamo distribuendo materiale di protezione nei 23 ospedali in cui siamo presenti (guanti, gel alcolico, maschere protettive, camici, lenzuola), predisponendo piani di contenimento, formando i tanti operatori sanitari, anche nelle comunità, alle norme igieniche e di protezione, collaborando con i governi nazionali nel predisporre linee guida e procedure idonee al contenimento dell'epidemia.
Francesco Canova, fondatore del Cuamm nel gennaio del 1946 si trovava, di passaggio, alla stazione di Caserta e spaventato dalle distruzioni che vedeva intorno, chiese al capostazione se tutta l'Italia fosse così. E da quel "piccolo uomo malvestito" si sentì rispondere: "Anche peggio, figlio mio, anche peggio. Ma non te la prendere, vedrai che ci tireremo su presto: parola di Gennarino!" (Simpatia e testimonianza cristiana, Messaggero, Padova 1983).
In questo momento difficile, in Italia e in Africa, dobbiamo coltivare la fiducia del cuore e la tenacia dell'operare!
Don Dante Carraro direttore di Medici con l'Africa Cuamm
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L'umanità è una sola, constata ancora una volta don Dante: la storia, la vita e le persone del Cuamm ne sono la dimostrazione, fin dal vescovo di Padova mons. Girolamo Bortignon, dal prof. Francesco Canova, da don Luigi Mazzucato.
Ora l'epidemia che è diventata ufficialmente (lo certifica l'Organizzazione mondiale della Sanità) ne è un'altra dimostrazione: paurosa, tragica, sconvolgente; ma per questo più esplicita, più chiara agli occhi di tutti. Il quotidiano bollettino dell'epidemia di Covid-19 è davvero globale; il virus non ha mostrato passaporto né si ferma alle frontiere. Produce gli stessi effetti ovunque e richiede unità. Serve unità all'Italia, ad esempio, dove si è subito visto che non bastava fare frontiere al Nord per difendersi. Serve unità all'Europa, che sta sempre più arrivando alla conclusione che nessun paese può essere lasciato solo, perché la debolezza di uno diventa la debolezza di tutti. Serve unità da una parte all'altra dell'Atlantico: Trump ha provato a brandire il coronavirus contro l'Europa, ma il virus gli si è rivoltato contro.
Leggo il messaggio di don Dante dopo aver sentito il vicepresidente della Croce Rossa cinese, Sun Shuopeng, dire: "Siamo arrivati dalla Cina con 31 tonnellate di materiali, tra cui medicinali e ventilatori polmonari, ma anche plasma da esaminare e la settima versione della soluzione clinica contro il Covid-19". Guida una delegazione di altri otto medici e infermieri cinesi che in Cina hanno combattuto contro in virus ed ora sono a disposizione dell'Italia. Saranno molto utili in sanità; sono già essenziali in umanità: hanno lasciato perdere le recenti offese ai cinesi del presidente del Veneto Luca Zaia.
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