Dopo l'ascolto delle proposte e l'osservazione dei comportamenti di chi propone il referendum veneto del 22 ottobre, pur convinto che il tema di una più ampia autonomia della Regione in alcune materie è più che maturo e, se correttamente gestito, può divenire utile a noi Veneti, non parteciperò al voto:
- Perché è da 16 anni che la Regione Veneto poteva negoziare e contrattare con lo Stato esattamente quello che comincierà a chiedere dal 23 ottobre, se voterà almeno il 50% dei Veneti. Dunque, non occorreva un referendum per fare ciò;
- Perché non ci ha presentato alcun piano programmatico articolato, frutto di un confronto ampio e serio con le forze politiche, economiche, sociali, culturali venete, che ci faccia sapere su che cosa, su quali materie, e con quali modalità di attuazione si porteranno a Roma richieste e proposte regionali;
- Perché la Regione, non solo attraverso tutti gli strumenti mediatici, ma invadendo e strumentalizzando ad ogni ora del giorno e in qualunque luogo, ogni occasione istituzionale e amministrativa, sta agendo per
+ alimentare nei Veneti speranze ed illusioni infondate, tra l'altro sul residuo fiscale
(i soldi delle tasse pagate sul territorio che vengono spese in altre Regioni italiane) e
sulle fantasmagoriche possibilità che ne scaturirebbero per essi;
+ cavalca una continua crescente pericolosa conflittualità con lo Stato e
vuole seminare tra noi Veneti tale cultura e mentalità per aprire ulteriori conflitti;
+ sta facendo un'azione di enorme propaganda politica a suo favore. E il
referendum non produrrà nessun effetto giuridico; ha un valore solo politico.
Chi governa, oltre a chiedere un legittimo e opportuno ridisegno di ruoli, competenze e risorse tra lo Stato e le Regioni e i Comuni in alcune materie, dovrebbe alimentare un discorso-progetto complessivo che collochi entro un sano federalismo i necessari concetti di apertura al mondo, di ponti e non muri, di relazioni e di cooperazioni sempre più larghe e non di frammentazioni o isolamenti autoreferenziali.
Perché, come ha detto Romano Prodi: nel 1400-1500 le realtà italiane furono le prime nel mondo di allora per creatività e traguardi in tantissimi settori, come scoperte, invenzioni, arti, urbanistica, finanze, banche, economia…
Con la scoperta dell'America si verificò la prima "globalizzazione": le realtà italiane nel 1600/1700 non furono più in grado di competere con eventi e forze troppo grandi per loro. Perfino Venezia non si trovò attrezzata nel suo arsenale a costruire le grandi caravelle che da allora sarebbero servite per giungere in America. E per l'Italia iniziò la lunga triste decadenza.
Oggi, noi viviamo entro una nuova più grande globalizzazione, guidata per ora da Usa e Cina. Gli Stati europei, se presi singolarmente, potrebbero ridursi a come si ridussero allora gli staterelli italiani.
Di fronte a una certa pericolosa tendenza alle frammentazioni in atto in Europa, noi riaffermiamo invece, il valore e la forza delle unioni e delle aggregazioni.
Dunque, ben venga una maggiore autonomia su alcune materie di governo regionale e locale che si può chiedere già oggi, prima del referendum e che comportano per la Regione assunzione di nuove responsabilità e capacità di gestione corretta ed efficiente, ma la Lega lo faccia entro un progetto chiaro e definitivo di programmazione aperta, lungimirante, non propagandistica e di crescente conflittualità con lo Stato come ha fatto finora, nella sicura e certa cornice di unità, cooperazione e solidarietà nazionale.
Commenta Tino Bedin
È impossibile essere non essere d'accordo.
"Chiedere se si vuole maggiore autonomia per il Veneto è come chiedere se si vuol bene alla mamma. La risposta è sì", è stato giustamente fatto osservare dalle poche voci realistiche che sono riuscite a farsi sentire nella martellante propaganda di Zaia. Devo dire che sono stato quindi sorpreso dalla posizione che hanno preso i settimanali diocesani del Veneto, i quali hanno appunto risposto che… sì, vogliamo bene alla mamma. È giusto dire che l'autonomia è insieme "un valore e una responsabilità", ma si dà per acquisita la strada scelta dalla Lega e da Zaia, come se non ce me fossero altre e soprattutto come se questa strada abbia come meta quella di "crescere come comunità, veneta e italiana".
Il Veneto è una Regione a statuto ordinario ed ogni decisione deve comunque passare dal tavolo delle trattative con il Governo, come previsto dalla Costituzione vigente. Valeva la pena spendere oltre dieci milioni di euro per chiedere ai veneti se vogliono bene alla mamma?
Si tratta di soldi delle nostre tasse, spesi per propagandare un appuntamento che - se fosse davvero nell'agenda dei veneti - non avrebbe bisogno di tutta la pubblicità che Zaia ha comprato ed imposto (perfino sugli atti ufficiali delle Ulss).
L'invasione propagandistica dimostra che la finalità di questo referendum non è quella dichiarata, ma di fare da traino alla compagna elettorale nazionale della prossima primavera per la Lega Nord e anche per Zaia come possibile candidato.
Nemmeno io andrò a votare.
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