Egregio senatore Bedin,
vorrei continuare il dialogo sulla salute diseguale iniziato da Pierluigi Rigoni di Pergine Valsugana, restando sempre nell'ambito della vecchiaia diseguale.
Qualche settimana fa ho letto che l'Auser ha calcolato che almeno mezzo milione di famiglie italiane si sono indebitate per l'assistenza a loro membri anziani non autosufficienti. Proprio il fatto che si sia registrato una divaricazione fra invecchiamento e speranza di vita fa prevedere che le spese per gli anziani non autosufficienti siano destinate ad aumentare nel breve e medio periodo, con costi che non sono più coperti dalle pensioni degli anziani stessi.
L'utilizzo delle "badanti" ha costi importanti per il bilancio familiare; l'utilizzo di strutture residenziali sta diventando improponibile alla media delle famiglie italiane, superando ormai la media degli stipendi. Però delle strutture residenziali non si può fare a meno quando la situazione dell'anziano è aggravata da deficit cognitivi importanti.
In questo caso la salute diseguale non incide solo sulla vita delle persone malate, ma coinvolge e a volte sconvolge molte altre vite, riduce capacità lavorative specialmente delle donne, fa esplodere contrasti familiari di natura economica che difficilmente saranno poi sanati, con ulteriori conseguenze per il futuro non solo delle famiglie singole ma anche della comunità. E allora bisognerà intervenire per risolvere le emergenze, mentre sarebbe più conveniente intervenire in modo strutturale, avendo una chiara visione dell'oggi e soprattutto del domani.
Commenta Tino Bedin
L'invecchiamento non è una calamità naturale; è un'opportunità prevedibile, a condizione che ci si attrezzi proprio per la sua prevedibilità. In questo momento però questa situazione è quasi derubricata dall'interesse dell'opinione pubblica e quindi della politica. Ricordo che il Fondo nazionale per le politiche sociali, il principale canale di finanziamento, ha subito da parte dei governi di Berlusconi e della Lega continui tagli, che hanno raggiunto anche livelli del 30-40 per cento all'annuo, fino a raggiungere nel 2012, con la Destra al governo, un valore solo simbolico. Solo dal 2013 con i governi del Partito Democratico si è ripreso a finanziarlo e nel 2016 la dotazione del Fondo è ritornata strategica.
Nel frattempo, società e imprenditori privati hanno capito l'affare e stanno aumentando l'offerta di servizi a pagamento, specialmente nel settore della residenzialità e della riabilitazione. Ovviamente fanno il loro mestiere. Non altrettanto stanno facendo molte regioni. Il Veneto ad esempio ha favorito l'espansione del privato finanziario, aumentando i posti-letto, ma non ha aggiornato la legislazione in materia di istituzioni pubbliche di assistenza, che per i vincoli di legge sono sempre più in difficoltà a raggiungere i loro scopi sociali e pubblici.
Privatizzare la vecchiaia non sarà alla lunga un buon affare per nessuno.
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