Diritti del lavoro
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Venezia, 12 aprile 2017

Il territorio prospera solo se per tutti c'è la propria parte di benessere
Scaricare i rischi su chi lavora
non genera profitto ma sfruttamento

È urgente il tempo di cominciare a parlare di valori, di idee, di ideologie


Esistono due differenti declinazioni dell'aggettivo "sociale", per le quali il sindacato sta lottando, contraddistinte dalla stessa matrice: quale sia il rapporto tra lo sviluppo, la prosperità, il lavoro e la responsabilità di impresa nel territorio della Città Metropolitana di Venezia.
È "sociale" la clausola che viene rivendicata dalle lavoratrici e dai lavoratori dei Musei Civici nel cambio di appalto che riguarda i loro servizi. Come del resto per tutti gli altri appalti, pubblici e privati, ogniqualvolta si ponga questa fattispecie; ovvero è il diritto dei lavoratori di conservare il proprio posto di lavoro. Un diritto che vale a prescindere dalle vicende imprenditoriali che determinano la cessazione di un appalto assegnato ad altri soggetti. Non solo la salvaguardia del posto di lavoro ma anche la conservazione di salario, di qualità e di quantità di orario di lavoro.
Non è una questione accademica. Si parla della vita di migliaia di lavoratrici e lavoratori. Eppure assistiamo tutti i giorni all'indizione di gare che vengono assegnate a criteri di economicità e di risparmio dei costi. Nella maggior parte dei casi si punta all'abbattimento del costo del lavoro e sulla possibilità di permettere ai vincitori di ripartire da zero, con nuovo personale. Lasciando a casa il personale o ricattandolo con condizioni di lavoro peggiori e peggio remunerate solo per poter conservare il proprio posto di lavoro. In molti casi si assiste ad una vera e propria restrizione del servizio offerto all'utenza. Quasi mai registriamo un abbassamento del profitto di chi vince la gara. Le lavoratrici e lavoratori dei Musei Civici stanno lottando per conservare il posto di lavoro e per avere garanzie sul loro futuro occupazionale. In una realtà, che non è certo in crisi visto il costante incremento dei flussi di visitatori e i margini di guadagno sin qui raggiunti.
È "sociale" anche la responsabilità di impresa che i lavoratori della Ilnor di Scorzè, stanno rivendicando con fermezza, nei confronti della loro società, che dichiara di non poter conservare competitività se mantiene le lavorazioni nel nostro territorio. E come loro tanti altri. Quella responsabilità sociale che significa magari sacrificare parte del profitto in favore di un territorio nel quale - sino ad ora- si è prosperato e guadagnato.
È "sociale" la responsabilità di un'impresa che - con un prodotto di qualità e maestranze competenti e capaci - esercita il proprio ruolo imprenditoriale. Mettendosi in discussione, investendo su risorse e personale, innovando, rischiando. Non è "sociale" e nemmeno morale chiudere un sito sicuramente non improduttivo, lasciando le macerie in un territorio, dopo averlo acquisito e aver ottenuto accordi di attivazione di ammortizzatori sociali, con lavoratrici e lavoratori disposti alla cassa integrazione pur di mantenere questo presidio produttivo tanto strategico. È "sociale" la responsabilità quando si esercita il proprio ruolo nella società, dal punto di vista dello sviluppo, del rispetto per l'ambiente, dal punto di vista della redistribuzione.
Sin da piccoli ci hanno insegnato che il salario viene percepito dai lavoratori dipendenti per la loro prestazione lavorativa, nella quale mettono a disposizione tempo, energie fisiche e psichiche, professionalità e molto altro. Mentre il profitto non è solo la remunerazione del rischio di impresa che si assumono i singoli. Significa avere una visione imprenditoriale. Mettere risorse, impegno, lungimiranza, prospettive e capacità. Non solo speculazione come avviene sempre più spesso. Il guadagno rappresenta comunque una responsabilità sociale come dice la Costituzione. Scaricare i rischi su chi lavora non genera profitto ma sfruttamento.
Questo sviluppo non ci interessa e contro questo noi continueremo a lottare convinti che il territorio potrà prosperare ed essere vivace - e non solo dal punto di vista economico - solo se per tutti ci sarà la propria parte di benessere.

Enrico Piron
segretario generale Cgil Venezia

Commenta Tino Bedin

Il segretario della Cgil veneziana ha ragione quando sostiene che quella da lui sollevata "non è una questione accademica", ma piuttosto è la "vita di migliaia di lavoratrici e lavoratori". Tuttavia è ormai urgente il tempo di cominciare a parlare di valori, di idee, di ideologie. Parlo per me, che mi sono dedicato alla politica avendo come riferimento la Dottrina sociale della Chiesa, il personalismo comunitario di Emmanuel Mounier, le invettive di don Restituto Cecconelli che sulle pagine della "Difesa del Popolo" di Padova difendeva il diritto di sciopero.
Sono fonti nelle quali si ritrovano parole che consentono di smascherare il pensiero unico che ha pervaso in Europa anche i movimenti popolari e sta generando la ribellione degli esclusi. Parole con le quali dire che la globalizzazione non è solo opportunità; parole con le quali rivendicare la gestione comunitarie dei beni comuni, oggi ridotti sono a "beni" da privatizzazioni e liberalizzazioni, parole con le quali definire diritti universali validi per tutti i lavori, che sono il fondamento della nostra cittadinanza (articolo 1 della Costituzione).
Per non essere ridotte a contestazione e slogan, queste parole devono nascere da pensieri e valori. Un buon indice lo troviamo negli articoli fondamentali della Costituzione: le energie dedicate all'inutile riforma costituzionale, bocciata dai cittadini, possono bene essere impiegate per dare sostanza nel nostro senso a quegli articoli.

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18 aprile 2017
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Tino Bedin