Caro Tino,
due titoli di giornali in pochi giorni mi hanno posto un interrogativo, che condivido con te che sei un giornalista ed un politico. Ecco i due titoli: "Ho lasciato la chat dei genitori E sono tornato un uomo felice" (Corriere della Sera, 29 gennaio) e "Lapo Elkann dice addio ai social network: Voglio vivere nella vita reale anziché virtuale" (La Repubblica, 31 gennaio). Ed ecco l'interrogativo: stiamo arrivando alla saturazione sociale dei social network? La esposizione senza fine di se stessi e della propria vita presenta qualche conto?
L'articolo del "Corriere" meriterebbe di essere interamente riportato. Cito solo qualche battuta.
"Ho lasciato la chat su WhatsApp dei genitori della scuola di mio figlio. E sono tornato un uomo felice. Ma non l'ho fatto per gli effetti collaterali, che pure sono fastidiosi. L'ho fatto perché la chat, in sé, è gravemente dannosa per la salute. Peggio delle sigarette. Tutto dipende da come viene usata, dicono. Falso, la chat fa male a prescindere. Essere connessi h24 e in tempo reale con gli altri genitori genera un incubatore di ansia da prestazione che rovinerebbe la mamma o il papà più zen del mondo. (…) trasforma ogni refolo di vento in una tempesta. Un esempio? A scuola fa freddo dopo le feste di Natale. Uno solleva il caso, un altro minimizza. Un altro ancora attacca la maestra, poi c'è quello che la difende, quello che se la prende con la preside. Dopo un po' arriva quello che ricorda i tempi della nonna, quello che tira in ballo il sindaco, quella che difende il sindaco. Alla fine non si risolve nulla. Anche senza la chat non si risolve nulla. Ma almeno non c'è quella sfilza di squilli e vibrazioni che ti fa dimenticare l'unica cosa davvero importante da fare: chiedere a tuo figlio (non alla chat) se a scuola fa freddo. E in caso mettergli una maglia più pesante".
La decisione presa da Lapo Elkann offre un'altra angolazione del problema. Cito anche qui sommariamente da "Repubblica".
"L'estroso uomo d'affari torinese ha pubblicato un messaggio sia sulla sua pagina Facebook che su Instragram in saluta i suoi fan, almeno temporaneamente. "Oggi comincia una nuova fase per me - personale e professionale - e la vorrei vivere nella vita reale, offline, anziché in quella virtuale".
La sovrapposizione della vita virtuale a quella reale è una esperienza che molti utilizzatori di social network subiscono e si autoinfliggono. Forse anche questa sofferenza genererà disaffezione?
Commenta Tino Bedin
Una volta (ma è un tempo di anni, nemmeno di decenni) a subire la sovrapposizione della vita virtuale su quella reale eravamo sono solo noi giornalisti e noi politici. Molti tra noi passavano la giornata (con arrabbiature, soddisfazioni, preoccupazioni, ingiurie) ad inseguire le agenzie di stampa che ogni minuto aggiornavano le notizie. Bisognava subito rispondere, vedere la controrisposta; bisognava fare la dichiarazione, pensare il commento a qualsiasi cosa. Il giorno dopo sui quotidiani appariva forse una riga, ma intanto avevi passato una giornata a non produrre nulla. E ti rodevi il fegato contro i giornalisti che non avevano ripreso i tuoi comunicati; pronto però a ricominciare lo stesso giorno. E noi giornalisti (come vedi cambio ruolo) ce la prendevamo coi politici che ci riempivano di fax e poste elettroniche, costringendoci a leggere.
Forse è per questa doppia sofferenza che ho guardato e guardo con circospezione questi strumenti di intrattenimento di massa, a nessuno dei quali sono infatti iscritto.
Adesso questa sofferenza se la sono liberamente inflitta milioni di persone. Cito anch'io un titolo, proprio di oggi: "Facebook, gli italiani lo usano più di tutti ma a sorpresa preferiscono YouTube" (Il Mattino, 31 gennaio). Alessio Caprodossi sintetizza il rapporto su scala mondiale "Digital in 2017" e riferisce che "oltre 39 dei quasi 60 milioni di italiani utilizzano internet e 31 milioni sono attivi sui social network".
Insomma ci sarà pure qualche ripensamento, ma l'intrattenimento digitale è proprio di massa.
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