Egregio senatore Bedin, resto davvero sgomenta di fronte alla vicenda della Grecia all'interno dell'Unione Europea. Non ho le competenze per dare giudizi sulle responsabilità né - tanto meno - per immaginare soluzioni. Sono però una cittadina europea che è cresciuta nella certezza che l'integrazione fra popoli e Stati del nostro continente fosse un cammino con un'unica direzione: cammino certamente lento, magari accidentato al punto da richiedere delle pause per capire come affrontarlo, ma senza ritorno. Quello che ora mi sgomenta è proprio questo: per la prima volta si ipotizza - e più di qualcuno auspica - che si torni indietro, che l'Europa si riduca rinunciando alla Grecia.
Si tratta di una situazione assai pericolosa, perché mette in discussione la natura stessa dell'Unione Europea, cioè un destino comune, in grado di far prevalere sempre le ragioni dell'unità rispetto ai rischi della contrapposizione. I padri fondatori dell'Europa sapevano bene che la contrapposizione crea conflitto: economico, come quello che ora si è acceso in Europa con la Grecia, ma potenzialmente anche bellico, perché i popoli umiliati finiscono per cercare soluzioni estreme.
Commenta Tino Bedin
Ricordo l'allargamento ai paesi dell'Est europeo: un grande gesto politico, prima che economico; la fierezza di un'Europa che alle popolazioni uscite dal comunismo, incerte dopo sconvolgimenti sociali ed economici, aveva deciso di mettersi in squadra con loro, di camminare insieme per affrettare il loro passo, anche pagando qualche prezzo nelle opinioni pubbliche dei paesi che già facevano parte dell'Unione Europea.
Quell'Europa fiera di se stessa, "terra promessa" per altri popoli oggi è senza un progetto. Così cresce l'illusione di governanti e popoli di risolvere i problemi da soli, senza la fatica delle scelte comuni. Così lo stare insieme è solo fatto di regole e non di speranze. Ma questa non è la nostra Europa.
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