Vorrei anch'io fare una riflessione a partire dalle "seconde" linee del PD alle quali appartengo.
I risultati delle elezioni regionali non lasciano dubbi e ora si cercano le motivazioni della pesante sconfitta e capire come mai molti hanno cambiato schieramento, altri si sono astenuti, altri non hanno votato la nostra candidata. Guardando ai flussi presentati dall'istituto Cattaneo, si possono rilevare numeri impietosi per il PD e per le sue liste che, naturalmente, si sono riversati come un'enorme ondata, purtroppo, su Alessandra Moretti.
Anch'io, come altri, ho parlato con molta gente che a fatica si è recata ai seggi. Persone non iscritte, non provenienti da alcuna precedente formazione politica storica (DC, Popolari, Margherita, PCI, PDS, DS) ma sensibili alle proposte del PD. Guardando allo scenario, non hanno visto il PD come interlocutore credibile e con la candidata poco rassicurante.
Le ragioni di questo rifiuto se non addirittura cambio di scelta, sono dovute soprattutto alla rissosità nel partito, dove a mettere in difficoltà il presidente del Consiglio, è la minoranza interna che cerca di mettersi di traverso alle scelte riformatrici. Certo, per discutere e proporre, ma non sempre, a mio parere, in termini positivi ma di vera contrapposizione. Tutto ciò unito ad un non molto celato rancore personale da parte di molti della minoranza nei confronti di Matteo Renzi.
La seconda questione è legata al confronto serrato con i sindacati, soprattutto con la CGIL, da parte del presidente del Consiglio. La scarsa delicatezza del premier ha come risposta di Susanna Camusso la dichiarazione di non votare PD. Forse era una ripicca della Camusso contro Renzi per le sue scelte, per esempio, del jobs act, oppure la stessa voleva che il PD perdesse a tutti i costi le elezioni per segnare il territorio? Penso che la segretaria della CGIL sappia il fatto suo e quando parla non lo faccia per sentito dire, ma consapevolmente e un risultato certamente l'ha ottenuto: molti "compagni" o iscritti alla CGIL non sono andati a votare. Credo che anche molti altri elettori del PD che non sono iscritti alla CGIL o non sono "compagni", hanno scelto diversamente di fronte a chi vuole del PD un partito minoritario, rissoso e magari, come è capitato in Veneto, drammaticamente perdente.
E poi la candidata che è stata pre-scelta attraverso delle inutili primarie, sostenuta da 120 firme di giovani del partito, è partita già in difficoltà per una serie di situazioni che portava con sé e che, la gente, non ha perdonato. Alessandra ha fatto tutto ciò che doveva, difendendosi, tra l'altro, da violenze verbali inaudite di beceri personaggi ma, evidentemente, le sue proposte politiche per i veneti non sono state così rassicuranti come quelle di Zaia.
Io credo che il momento debba essere di chiarimento e di scelte, anche difficili, di rottura col passato per rinnovare, ed evitare di fare tattica e perdere tempo prezioso, ma politica. E ciò anche formando persone che abbiano a cuore la loro regione, la loro città, il loro territorio, che capiscano i problemi e abbiano proposte significative per il futuro. Tutto ciò fuori da rendite che, nel partito nel quale sono, non hanno più motivo di esistere. Non si vuole gettare il bambino con l'acqua sporca, ma nemmeno che questo muoia soffocato nell'acqua. Il partito quindi, nei suoi organi regionali e locali, non può tergiversare: la cura non può essere l'aspirina, ma una cura da cavallo.
Il tempo è prezioso e cinque anni passano in fretta. Zaia non ci sarà più, ma mi dispiacerebbe dovermi rivolgere a Sant'Antonio.
Nereo Tiso vicesegretario del Pd di Padova
Commenta Tino Bedin
Non è certo con poche righe che si danno spiegazioni (su una scelta popolare tanto inattesa) e soluzioni (per dare ai veneti una credibile alternativa). Mi limito quindi a qualche sottolineatura, oltre a quelle fatte da Nereo Tiso.
Ritengo decisivo un atteggiamento che riguarda il passato (la sconfitta), il presente (l'analisi) e il futuro (la proposta politica). Finché c'è che nel Partito Democratico si sente "altro" rispetto ai veneti, che sarebbero conservatori e incapaci di capire il cambiamento, sarà impossibile che i veneti votino per il Pd, anzi che gli prestino attenzione. Siamo un popolo grande e semplice: sorridiamo degli sbruffoni, non perdoniamo i presuntuosi; se qualcuno non ci considera all'altezza, lasciamo che si misuri con se stesso.
Fa parte di questo atteggiamento anche dire che il Veneto non è pronto per una candidatura femminile. Tutte le donne che guidano i nostri comuni come sindaci e assessori sono state votate dai veneti e anche rivotate: quindi non sono le donne a fare la differenza.
Determinanti per la batosta elettorale sono stati gli elettori del Partito Democratico: non si sono riconosciuti o non l'hanno riconosciuto abbastanza. Ma a non riconoscersi nel Pd avevano cominciato proprio i responsabili della campagna elettorale. Alle Primarie per la scelta del candidato non c'era il simbolo del Partito Democratico, che pure le organizzava. Sui manifesti di Alessandra Moretti non c'era il simbolo del Partito Democratico. Si è pensato di vincere solo con i candidati (a presidente e a consigliere). E la campagna elettorale è andata di conseguenza. I circoli si sono concentrati su un candidato, oppure non hanno fatto nulla. Quanti incontri con i cittadini sono stati fatti non sui nomi ma su temi, invitando più candidati? Gli elettori del Pd hanno preso atto che il Pd non c'era e non sono andati a votare.
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