Caro Tino,
l'inconcludenza dell'Europa nel trovare una soluzione al problema rappresentato dalla Grecia è la sintesi dell'involuzione nella quale la nostra Unione sembra destinata. Eppure si tratta di un problema "interno", al quale una comunità che crede in se stessa deve dare risposte, facendo prevalere la costruzione complessiva rispetto alla ricerca delle responsabilità e dei rischi individuali. Eppure nel passato sono state realizzate cose straordinarie in Europa: la pace, la libera circolazione del lavoro, la caduta delle frontiere, la moneta unica.
Ma ora il passato non basta. Tutti questi obiettivi raggiunti non emozionano più, non sono più sentiti importanti. La conquista e la conservazione della pace, cioè il risultato più rilevante dell'integrazione europea, è ritenuta ormai come un fatto garantito. Sono del resto già tre generazioni che c'è e ormai sono pochissimi coloro che non possono dimenticare i loro familiari morti in guerra.
Vale molto di più il presente, con il suo scontento per l'Europa, figlio della crisi economica e della mancata reazione europea alla crisi. Mentre gli Stati Uniti sono riusciti a uscirne da tempo, in Europa i governanti europei stanno andando ancora in ordine sparso.
Se l'Europa non serve al presente e non sa far immaginare un futuro comune, vinceranno i nazionalismi: e perderemo tutti.
Commenta Tino Bedin
Hai ragione, caro Tommaso. Non c'è troppa Europa, ma troppo poca. C'è una pericolosa confusione globale: Ucraina, Libia, Medio Oriente sono la geografia di questa confusione e di una straordinaria trasformazione. È una geografia nella quale l'Europa è più attiva che passiva: una condizione davvero singolare, considerato che l'Unione Europea è tuttora una grande economia globale, numero uno della produzione del Pil, nella produzione industriale, nelle esportazioni.
Si tratta di una passività rischiosa, che allontana le opinioni pubbliche: opinioni che in democrazia sono decisive. Il rischio - come dici tu - è che vincano i nazionalismi e che noi tutti europei perdiamo il futuro, perché non è possibile evitare la globalizzazione, che non dipende dall'Europa, ma dal mondo e dalle nuove tecnologie.
Qualche mese fa, in una sua lezione, Romano Prodi ha sintetizzato: "La globalizzazione va avanti e nella globalizzazione o si è insieme o si scompare". Ed ha portato l'esempio degli stati italiani nel Rinascimento: da leader indiscussi in tutti i campi a grandi assenti per secoli dalla carta geografica dopo la prima globalizzazione - la scoperta dell'America - proprio a causa della mancanza delle dimensioni per competere. Oggi i Paesi europei sono nelle stesse condizioni, ha chiosato Prodi.
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