Regioni a statuto speciale
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Rovigo, 23 aprile 2015

Il presidente della Toscana chiede il loro superamento
È cambiato il mondo
ma non le regioni a statuto speciale

Si potrebbe almeno rendere attuabile l'autonomia geometria variabile

In questi ultimi giorni il presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, si è chiesto "che senso abbia anche dopo la riforma istituzionale mantenere le Regioni a statuto autonomo. Mi che non esista più una questione giuliana che spinse De Gasperi a riconoscere quel particolare statuto, che continuiamo ancora oggi a pagare; né francamente mi sembra che esista una questione di autonomismo siciliano, che spinse allora a riconoscere la partecipazione del presidente della Regione Sicilia alle sedute del Consiglio dei ministri".
Il presidente Rossi è convinto che la riforma delle Regioni a statuto speciale permetterebbe anche di riequilibrare i finanziamenti tra tutte le Regioni, "consentirebbe da un lato di trovare risorse, da un altro per Regioni virtuose come la Toscana di avere magari qualche risorsa in più, che di questo tempo non guasta".
Ho anche letto che sia Debora Serracchiani, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, sia il presidente della Provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi, si sono premurati a difendere i loro statuti speciali, dicendo che loro amministrano regioni virtuose. Ma in discussione non sono né le virtù dei friulani o dei trentini né la bravura dei loro amministratori. Qui si tratta di prendere atto che a settant'anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale le ragioni storiche e geopolitiche che hanno portato alla nascita delle regioni a statuto speciale non esistano più. Nel frattempo persino il Muro di Berlino non c'è più. Possibile che non si abbia il coraggio di abbattere le differenze giuridiche fra regioni italiane?

Diana Sordo

Commenta Tino Bedin

Non da ora sono convinto che il sistema regionale italiano vada rivisto. Qualche settimana fa un lettore è intervenuto sul numero. Ora la lettrice di Rovigo pone il tema della parificazione giuridica delle regioni. È un tema ancora più urgente rispetto al primo, perché crea in molti cittadini - in particolare nei veneti - la sensazione di essere italiani di serie B rispetto ai confinanti e questa sensazione non aiuta lo spirito nazionale. Le resistenze non state e sono fortissime; per tutte le maggioranze nazionali c'è il rischio di perdere deputati e senatori delle regioni autonome e questo spiega e non giustifica come anche nella riforma fortemente voluta da Matteo Renzi non se ne sia voluto discutere.
Non si tratta di togliere qualcosa a chi è bravo. Si tratta di dare a tutti le stesse opportunità. Una norma costituzionale per l'autonomia a geometria variabile c'è, ma né lo Stato né le Regioni sono riusciti a sfruttarla: dunque va migliorata e corretta in modo da renderla attuabile. Si può cominciare da qui. Ma non credo che questo interessi a Matteo Renzi.

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