Expo e pianeta
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Internet, 15 aprile 2015

Prendiamo sul serio il tema dell'Expo
È il pianeta che ci alimenta, ci scalda, ci fa muovere
Papa Francesco: "La terra è generosa e non fa mancare nulla a chi la custodisce"

Come ci ricordano i sempre più frequenti spot pubblicitari, manca davvero poco all'inizio ufficiale dell'Expo. Sarà una grande fiera certo! Ma qui non faremo critiche o commenti alla manifestazione, ci concentreremo sul tema: "Nutrire il pianeta, energia per la vita".
Aldilà del cibo, del gusto, del valore culturale di ciò che mangiamo nel piatto, c'è il pianeta che "ci ospita", che fornisce tutto quello che ci alimenta, che ci scalda, che ci fa muovere.
Il primo pensiero va quindi alla Terra che calpestiamo con pazzesca incoscienza. Il suolo fornisce da sempre all'uomo la "base" per la produzione agricola e zootecnica, per lo sviluppo urbano e degli insediamenti produttivi, per la mobilità di merci e persone. Ma è anche la dimora ed il rifugio di una moltitudine di altre forme viventi e le sue caratteristiche e funzioni sono essenziali per la nostra sopravvivenza sul Pianeta. Tuttavia non riusciamo ancora a comprenderne pienamente il valore.
Negli ultimi anni l'agricoltura italiana ha visto sempre più mancare la terra sotto i piedi, la cementificazione del territorio ha eroso negli ultimi cinquant'anni 8 milioni di ettari di coltivazioni: una superficie pari all'intera regione Umbria. Secondo i dati dell'Ispra, ogni secondo, che sia giorno o notte non importa, vengono cementificati otto metri quadrati di suolo.
Coprire il suolo con un "sarcofago di cemento o asfalto" significa perdere la sua funzione nel ciclo degli elementi nutritivi, ossia la sua capacità di assorbire CO2, di fornire supporto e sostentamento per la componente biotica dell'ecosistema, di garantire la biodiversità o la fruizione sociale. Per questo prima di costruire nuove case o nuove strade abbiamo il dovere di capire se ne vale la pena, se il prezzo vale i benefici attesi.
Il secondo pensiero va a chi coltiva la terra. Dietro del buon cibo non ci sono business plan, ma ci sono persone che hanno lavorato e oltre alle braccia (alla fatica) ci hanno messo saperi, cuore e passione. Molti - a casa nostra e altrove - vedono negato il loro diritto a un salario sufficiente e a condizioni di lavoro decenti, in termini di ore di lavoro, di sicurezza, di salute. Questo accade in maniera e con modalità diverse, ma accade per gran parte dei lavoratori della terra, accade in maniera drammatica anche in Italia per tutta quella mano d'opera - spesso straniera (269 mila lavoratori secondo INEA) - che raccoglie verdure e frutta in condizioni così miserevoli che dovrebbero farci vergognare, soprattutto quando stravolti dall'ipocrisia additiamo queste stesse persone come causa dei nostri mali.
Il terzo pensiero va alle cosiddette filiere agroalimentari sviluppate dalla globalizzazione dei mercati che la politica internazionale ha portato avanti nella seconda metà del secolo scorso. Le grandi imprese che si occupano dell'intermediazione commerciale su base globale e quelle attive nella distribuzione hanno assunto un ruolo ed un potere enorme, a danno delle imprese agricole.
Dall'analisi della catena del valore (ossia in quali fasi si producono gli utili), dei prodotti agricoli emerge che all'agricoltura, tolti salari, ammortamenti e costi vanno 1,8€ ogni 100 spesi da una famiglia, al commercio ne vanno otto volte tanto. Anche per i prodotti trasformati la musica non cambia: 40 centesimi vanno agli agricoltori per i prodotti di base, 2,30 euro vanno all'industria alimentare, quattro volte tanto vanno a chi vende il prodotto. Risulta evidente che il mercato schiaccia la redditività sia dei coltivatori che delle piccole e medie industrie di trasformazione, a vantaggio del commercio e dei servizi (bancari e assicurativi.
L'ultimo pensiero va all'agricoltura. La rivoluzione "verde", quella della meccanizzazione, dei fertilizzanti e dei fitofarmaci, delle sementi sempre più vigorose, delle monoculture, delle specializzazioni, dei grandi capitali, che l'occidente ha sposato e proposto al mondo intero, produce sì molto ma prende risorse ancor più voracemente e produce scarti come una qualsiasi industria.
Gli effetti causati dall'industrializzazione dell'agricoltura ci dicono che dobbiamo ripensare l'agricoltura, anzi a considerare diverse agricolture, adatte ai diversi luoghi del pianeta, piuttosto che proporre ovunque quella rivoluzione verde che presuppone risorse e condizioni non disponibili ovunque.
Se i metodi che usiamo impoveriscono la terra, riducendone la fertilità, dobbiamo abbandonarli, se il consumo di carne ha effetti così dannosi sull'ecosistema, dobbiamo porci un limite, sapendo che la prosperità non si traduce nella possibilità di mangiare carne tutti i giorni, ad ogni pasto. Se gli agricoltori non riescono a vivere dignitosamente dobbiamo cambiare le politiche agricole.
La globalizzazione è stata sposata senza fare i conti con cosa significhi rompere il legame fra un territorio e la sua produzione alimentare, illudendosi che sia possibile consumare all'infinito, senza limiti perché da qualche parte del globo arriverà sempre ciò che ci serve. Prendiamo ad esempio l'Unione Europea, nella stagione 2007-2008 ha importato prodotti agricoli, per la cui coltivazione sono necessari circa 53 milioni di ettari, e ne ha esportati l'equivalente di 18 milioni di ettari. Ciò significa che la differenza, 35 milioni di ettari, è l'estensione della terra che abbiamo "rubato" al resto del mondo, ben 10 milioni in più di quanti ne avevamo avuto bisogno nella stagione agricola 1999/2000.
Quindi alla fine ci ritroviamo davanti al nostro piatto ed alla considerazione che per nutrire il pianeta serve il nostro singolo indispensabile contributo perché mangiare è un atto agricolo in senso proprio, col quale si può riscoprire un mondo rurale, a lungo dimenticato e abbandonato a se stesso.
L'agricoltura non è una normale attività perché il cibo non è un optional, è indispensabile: di fame si muore. È fondamentale ricordarlo per evitare di pensare che trattare l'agroalimentare come un qualsiasi attività economica da affidare ai mercati.
Su questo pianeta tutti hanno il diritto di sfamarsi e di vivere decentemente, quindi solo tornando a far prevalere la giustizia nei rapporti di lavoro e di commercio, la distribuzione delle risorse invece che l'accumulazione, la cooperazione internazionale piuttosto che la concorrenza al ribasso, potremo nutrire il pianeta ed anche la nostra anima. Una responsabilità che ciascuno esercita ogni giorno quando lavora, viaggia, compra e mangia.
Questa nota attinge a dati contenuti nel libro "CibononCibo", edito da MC Editrice, dicembre 2014.

Roberto Meregalli
Beati i costruttori di pace

Commenta Tino Bedin

Ho sintetizzato alcuni dati della nota di Roberto Meregalli, che possono essere recuperati nel libro "CibononCibo" da lui citato.
Consapevolezze come quelle che egli condivide con noi possono evitare che l'Expo si riduca a una fiera occasionale del cibo. La responsabilità maggiore ce l'ha il governo italiano e mi attendo che il ministro delle Politiche agricole (invece del futuribile spot costituito dalla sua proposta che l'Italia riconosca esplicitamente in Costituziole il diritto al cibo) lavori perché Stato nazionale, Regioni e Unione Europea utilizzino Expo (anche insieme) per creare cultura ambientale e costruisce mentalità di equità planetaria. È quello che ci propone Papa Francesco. Sintetizzo due suoi recenti interventi.
Video-messaggio per l'incontro di 500 rappresentanti nazionali e internazionali: "Le idee di Expo 2015 - Verso la Carta di Milano", Sabato, 7 febbraio 2015
In occasione della mia visita alla FAO ricordavo come, oltre all'interesse "per la produzione, la disponibilità di cibo e l'accesso a esso, il cambiamento climatico, il commercio agricolo" che sono questioni ispiratrici cruciali, "la prima preoccupazione dev'essere la persona stessa, quanti mancano del cibo quotidiano e hanno smesso di pensare alla vita, ai rapporti familiari e sociali, e lottano solo per la sopravvivenza" (Discorso alla FAO, 20 novembre 2014).
Oggi, infatti, nonostante il moltiplicarsi delle organizzazioni e i differenti interventi della comunità internazionale sulla nutrizione, viviamo quello che il santo Papa Giovanni Paolo II indicava come "paradosso dell'abbondanza". Infatti, "c'è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l'uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Questo è il paradosso! Purtroppo questo paradosso continua a essere attuale. Ci sono pochi temi sui quali si sfoderano tanti sofismi come su quello della fame; e pochi argomenti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati, dalle statistiche, dalle esigenze di sicurezza nazionale, dalla corruzione o da un richiamo doloroso alla crisi economica" (ibid.).
Ricordo nuovamente, come già fatto alla FAO, una frase che ho sentito da un anziano contadino, molti anni fa: "Dio perdona sempre, le offese, gli abusi; Dio sempre perdona. Gli uomini perdonano a volte. La terra non perdona mai! Custodire la sorella terra, la madre terra, affinché non risponda con la distruzione" (Discorso alla FAO, 20 nov. 2014).
Dinanzi ai beni della terra siamo chiamati a "non perdere mai di vista né l'origine, né la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo equo e solidale", così dice la dottrina sociale della Chiesa (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 174). La terra ci è stata affidata perché possa essere per noi madre, capace di dare quanto necessario a ciascuno per vivere. Una volta, ho sentito una cosa bella: la Terra non è un'eredità che noi abbiamo ricevuto dai nostri genitori, ma un prestito che fanno i nostri figli a noi, perché noi la custodiamo e la facciamo andare avanti e riportarla a loro. La terra è generosa e non fa mancare nulla a chi la custodisce. La terra, che è madre per tutti, chiede rispetto e non violenza o peggio ancora arroganza da padroni. Dobbiamo riportarla ai nostri figli migliorata, custodita, perché è stato un prestito che loro hanno fatto a noi. L'atteggiamento della custodia non è un impegno esclusivo dei cristiani, riguarda tutti.
Affido a voi quanto ho detto durante la Messa d'inizio del mio ministero come Vescovo di Roma: "Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo custodi della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell'altro, dell'ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per custodire dobbiamo anche avere cura di noi stessi! [...] Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi della tenerezza". Custodire la terra non solo con bontà, ma anche con tenerezza.

Incontro con Sergio Mattarella, presidente della Repubblica italiana, Sabato, 18 aprile 2015
Un altro ambito che richiede oggi particolare attenzione da parte di tutti è la cura dell'ambiente. Per cercare di alleviare i crescenti squilibri ed inquinamenti, che a volte provocano veri e propri disastri ambientali, occorre acquisire piena consapevolezza degli effetti dei nostri comportamenti sul creato, che sono strettamente connessi al modo con cui l'uomo considera e tratta sé stesso (cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 51).
Tra pochi giorni si aprirà a Milano l'Esposizione Universale, che ha come tema: "Nutrire il pianeta. Energie per la vita". L'evento dell'Expo sarà un'importante occasione in cui verranno presentate le più moderne tecnologie necessarie a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto dell'ambiente. Possa esso contribuire anche ad approfondire la riflessione sulle cause del degrado ambientale, in modo da fornire alle autorità competenti un quadro di conoscenze ed esperienze indispensabile per adottare decisioni efficaci e preservare la salute del pianeta che Dio ha affidato alla cura del genere umano.

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15-di-023
28 aprile 2015
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Tino Bedin