Il T-TIP (Transatlantic Trade and Investiment Partnership, ipotesi di accordo commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti per promuovere commercio ed investimenti fra le due sponde dell'Atlantico) non rappresenta nulla di nuovo (esiste l'OMC/WTO con tutti i suoi accordi e una miriade di accordi plurilaterali e bilaterali). Ripropone la convinzione che da più di vent'anni viene sostenuta per cui eliminare le barriere tariffarie, deregolamentare i mercati dei capitali, privatizzare, sia la ricetta migliore per la crescita.
È dagli anni '80 che ripetiamo il mantra dei benefici della liberalizzazione del commercio, in un volume edito nel 2002 riportai una citazione del New York Times: "ripetete cinquanta volte che free trade significa crescita e tutti i vostri dubbi spariranno". Ma gli anni sono passati e le promesse non si sono realizzate: chi ha visto gli aumenti di salari che secondo la teoria economica standard deriverebbero dalla creazione di un'area di libero scambio?
Nessuno nega che si possa continuare a credere che avere sempre più merci che vanno da un angolo all'altro del pianeta sia positivo, che difendere il diritto di non discriminazione di un prodotto (e molto meno quello degli esseri umani) sia lecito, che considerare come "discorsivi" i diritti di popoli diversi a stabilire regole diverse per coltivare, allevare e produrre energia, sia l'unica strada per "star bene". Ma è lecito dubitarne.
Roberto Meregalli Beati i costruttori di pace
Commenta Tino Bedin
Questa è la terza e ultima parte in cui ho proposto la riflessione di Roberto Meregalli sul Trattato Trantansatlantico (le parti precedenti sono state pubblica il 26 e il 28 marzo).
Sul tema di questa volta, ricordo che la Confederazione Europea dei Sindacati (Ces) e la Confederazione sindacale statunitense Afl-Cio hanno diffuso congiuntamente nel luglio scorso un documento intitolato "Il Ttip deve funzionare per le persone, altrimenti non funzionerà affatto". C'è da dire che sulla base dell'ormai ventennale esperienza dell'area di libero scambio Nafta, Afl-Cio ha avanzato fondati dubbi sui livelli occupazionali e sulla qualità dei posti di lavoro decantati dai sostenitori del Ttip. Da questa parte dell'Atlantico analoghe preoccupazioni hanno in Italia la Cgil, in Francia la Cgt, nel Regno Unito il Tuc e il sindacato spagnolo.
Fin dall'aprile 2013 la Confederazione europea dei sindacati (CES) ha segnalato che gli Stati Uniti non hanno ratificato tutte le convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e si è detta preoccupata anche delle "violazioni dei diritti fondamentali dei lavoratori negli Stati Uniti, in particolare del diritto ad organizzarsi e a negoziare collettivamente". La federazione sindacale tedesca DGB ha ribadito l'anno scorso che i negoziati del partenariato transatlantico sono iniziati mentre gli USA continuavano a non aver sottoscritto sei delle otto convenzioni fondamentali dell'OIL, tra le quali quelle sulla libertà di riunione e sul diritto a negoziati collettivi.
Certo, i sindacati interpretano esigenze e preoccupazioni di una parte dei cittadini, ma dovrebbero essere considerati degli attori della trattativa, visto che la produzione di merci e servizi da scambiare dipende anche da loro.
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