In aprile si svolgerà il nono round di negoziati per il T-Tip. Di questa sigla se ne parla, ma sicuramente l'acronimo suona ancora incomprensibile alla maggior parte della gente. Quindi cominciamo col chiarire che sta per Transatlantic Trade and Investiment Partnership, quindi parliamo di una ipotesi di accordo commerciale che Unione Europea e Stati Uniti d'America stanno negoziando per promuovere commercio ed investimenti fra le due sponde dell'Atlantico. Ufficialmente le trattative sono state avviate nel luglio 2013, ma gli sforzi per un'area di libero scambio fra USA ed UE sono molto più datati, basti pensare che l'Atlantic Council (una lobby euroamericana), venne fondato nel 1961 dall'ex segretario di Stato Americano Dean Acheson per sostenere l'Alleanza Atlantica. Il primo studio pubblicato nel 1967 era intitolato: "Costruire il mercato euro-americano: pianificazione per gli anni '70".
Il T-Tip risponde quindi ad obiettivi economici e geopolitici.
Dal punto di vista economico, va ricordato che nonostante gli anni recenti di crisi, in particolare per l'Europa, Usa ed Ue rimangono i rispettivi principali mercati d'esportazione. Le due aree costituiscono circa il 50% del PIL mondiale e quasi 1/3 dei flussi commerciali globali. Lo stock di investimenti bilaterali è pari a 2.394 trilioni di euro ed ogni giorno vengono scambiati merci e servizi per un valore medio di quasi 2 miliardi di euro.
Gli obiettivi proclamati dal T-Tip non sono nuovi: rimuovere le barriere commerciali fra i due partner per facilitare la vendita di merci e servizi; in questi termini la cosa appare positiva per tutti, in particolare per una Europa che cerca disperatamente di ritrovare crescita economica. Ma è qualcosa di più poiché oltre al tradizionale accesso al mercato, vi è la cosiddetta "coerenza nei regolamenti" e una più stretta cooperazione sempre sul piano dei regolamenti. Quindi l'obiettivo è ambizioso perché si focalizza sul termine di "regolazione tecnica" che nel linguaggio dei trattati commerciali indica "regole, linee guida, caratteristiche per prodotti o processi correlati e metodi di produzione, requisiti di terminologia, simboli, imballaggi, marcature o etichettature" (definizione WTO), quindi qualsiasi legge/regolamento che norma caratteristiche finali e di produzione delle merci industriali e agricole (quindi il cibo) e la fornitura dei servizi (quindi il terziario).
Questo spiega perché la questione T-TIP non riguarda le frontiere, riguarda i mercati da una parte e dall'altra della frontiera.
L'analisi delle bozze pubblicate solleva dubbi e timori giustificati. Usa ed Ue hanno standard distinti, conseguenza di approcci diversi ai problemi, scegliere la strada del "mutuo riconoscimento" non è possibile ovunque, sui prodotti chimici e sugli alimenti occorre mantenere prudenza e la sovranità di poter continuare ad avere un approccio cautelativo.
Scelte drastiche di convergenza fra sistemi diversi potrebbero avvenire solo nell'ambito di un processo politico di avvicinamento, ma è totalmente fuori luogo visto che al suo interno, l'Ue non è riuscita ad andar oltre l'unione monetaria.
Relativamente all'istituzione di un arbitrato Stati-Imprese (in sigla l'Isds), l'opposizione è così ampia che sarebbe miope perseguirla.
L'obiettivo di una maggiore integrazione fra le due sponde dell'oceano non è negativo, se finalizzato a creare più benessere non per le elite ma soprattutto per i livelli più bassi, "per innalzare il tenore di vita, garantire la piena occupazione". Quindi non l'incremento del Pil va considerato come indicatore, ma la riduzione della disoccupazione e delle diseguaglianze.
Se il T-Tip imboccasse questa strada, fissando standard elevati in materia sociale e ambientale, ponendoli pure come vincoli di accesso ai mercati euro atlantici, potrebbe mostrare un importante segno di inversione di rotta, utile per inaugurare una nuova epoca nei negoziati commerciali (che attualmente languono su vecchi logori binari).
Roberto Meregalli Beati i costruttori di pace
Commenta Tino Bedin
Pubblico intanto la parte principale del commento di Roberto Meregalli e mi riservo di proporre nei prossimi giorni anche altre parti del suo contributo.
Desidero solo richiamare l'attenzione dei lettori sull'ipotizzata istituzione di un arbitrato Stati-Imprese (l'Isds), che giustamente Meregalli si augura venga abbandonata. C'è effettivamente una opposizione così dura che qualche settimana fa il commissario Ue al Commercio, la svedese Cecilia Malstrom, ha la clausola nota con la sigla di Isds (Investor state dispute settlement) "uno degli argomenti più tossici del dossier". A frenare sono soprattutto la Germania e la Francia. In Germania è il vice-cancelliere Sigmar Gabriel a spiegare che la Germania avrebbe il firmato il T-Tip soltanto dopo la cancellazione della clausola Isds. In Francia il Senato ha adottato all'unanimità una risoluzione che chiede alla Commissione Ue di "abolire la clausola Isds".
Si tratta in effetti di una clausola estremamente pericolosa in quanto consegnerebbe alle multinazionali più potere che agli Stati. Noi europei abbiamo già una moneta senza Stato e lo stiamo pagando. Non ci piacerebbe proprio avere anche un mercato senza Stato.
Sull'argomento sarebbe molto apprezzato un intervento pubblico anche del governo italiano. Se serve, Matteo Renzi può prendere spunto da Giovanni Pittella, il presidente dei parlamentari europei del Pse e deputato del Partito Democratico, che è andato a Washington a dire noi all'Investor state dispute settlement.
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