Ho la convinzione che sia dai proclami della secessione e sia dall'impegno per un federalismo virtuoso il clima politico (ed anche dell'opinione pubblica) stia volgendo verso il centralismo statale. I cattivi esempi venuti da molte regioni alimentano un sentimento di avversione per le regioni e - come al solito - la filosofia popolare si rifugia nel "si stava meglio quando si stava peggio". Insomma meglio Roma che Venezia, se deve andare così.
In questo clima sono nate numerose proposte per un radicale ridisegno dei confini e delle competenze delle Regioni. Si sono mossi presidenti Regione come nel Lazio, in Piemonte e in Campania; si sono mossi parlamentari, come Raffaele Ranucci e Roberto Morassut del Partito Democratico, che chiedono di affrontare il tema ora che si stanno approvando le modifiche costituzionali. Chiamparino (Piemonte) e Zingaretti (Lazio) hanno da subito proposto la tappa intermedia degli accordi interregionali in prospettiva di una riforma costituzionale.
Tra le proposte c'è quella dell'accorpamento delle attuali regioni in 12, l'abolizione delle Province e la riduzione dei Comuni. Mi pare una proposta sensata, soprattutto per dare omogeneità alla dimensione demografica della Regioni e quindi alla loro capacità di incidere sul tessuto sociale ed economico. Noto, invece, che il tema non piace proprio al Partito Democratico, che in Parlamento sta respingendo proposte anche non stravolgenti del riordino territoriale delle regioni.
Commenta Tino Bedin
L'ipotesi delle macroregioni non è di oggi. La Fondazione Agnelli ha prodotto dati per sostenerla già da oltre un decennio. Torna nel dibattito attuale - a mio parere - non tanto per la sua validità in sé, ma sull'onda di una cultura non solo centralistica ma soprattutto antipolitica.
Devo dire che la prospettiva non mi entusiasma. Abbiamo il pessimo esempio della trasformazione delle Province, il cui unico risultato è la riduzione della partecipazione democratica dei cittadini e probabilmente - nonostante la buona volontà degli amministratori - anche uno scadimento della qualità degli atti delle Province, in conseguenza del doppio incarico forzato appioppato agli amministratori comunali: un sindaco che deve fare anche l'amministratore provinciale non ha molto tempo e soprattutto non ha la… vocazione.
Macroregioni significa allontanare ulteriormente i cittadini dalla Repubblica; significa trasformarsi in puri organismi amministrativi e non politici e rappresentativi. Tanto vale dire chiaramente che la prospettiva è quella di una articolazione territoriale dello Stato.
Sono invece d'accordo con chi sostiene che questo era il momento buono per una revisione costituzionale complessiva dell'articolazione della Repubblica. La riforma del Titolo V della Costituzione, votata dall'Ulivo ed approvata con il referendum popolare, a quindici anni di distanza merita certamente una verifica sulla base dell'esperienza. Abbiamo infatti registrato che l'incremento di competenze ha spesso costituito duplicazione di quelle trasferite dallo Stato, con l'appesantimento degli apparati burocratici delle Regioni, dei rispettivi enti strumentali e delle società partecipate.
Ci si è invece fermati alla trasformazione (svilimento) del Senato della Repubblica. Ma proprio perché il Senato diventa la Camera delle Regioni, un governo che voglia essere (come dice) effettivamente innovatore, dovrebbe avere il coraggio, la forza e prima di tutto la capacità politica di immaginare il sistema delle autonomie territoriali nel suo insieme.
|