Giornalismo veneto
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Venezia, 20 febbraio 2015

Lettera ai colleghi del presidente dell'Ordine dei giornalisti del Veneto
La responsabilità del giornalista per un'informazione rigorosa e corretta
Mi sono sempre domandato se con il prezzo del giornale
fossimo costretti a pagare anche la vita delle persone

Gentile collega,
vorrei iniziare il 2015 condividendo qualche riflessione sullo stato dell'informazione e alcuni motivi di preoccupazione per la progressiva perdita di credibilità e autorevolezza dei media e del lavoro giornalistico.
Mi riferisco in particolare al fenomeno della crescente spettacolarizzazione dell'informazione e della sempre meno rigorosa verifica delle notizie. Colpa certamente dei ritmi di lavoro sempre più frenetici e probabilmente dei compensi vergognosi con cui viene retribuito il lavoro giornalistico. Ma non soltanto.
La responsabilità dei vertici
Su questi argomenti è necessario avviare un ampio dibattito nell'ambito della categoria, coinvolgendo i vertici delle redazioni e delle aziende editoriali. La responsabilità di quanto viene diffuso e pubblicato è personale e resta in capo a ciascuno di noi, che su ogni notizia mette la propria faccia, la propria firma, la propria credibilità. Ma c'è una precisa responsabilità da parte di chi - nelle redazioni cartacee, radiotelevisive e web - decide lo spazio e il taglio dei servizi; li titola valorizzando un aspetto piuttosto che un altro; decide di "urlare" una locandina o di "montare" una polemica; attribuisce valore di notizia a pettegolezzi e volgarità; decide di "cavalcare" l'onda emotiva di un fatto alla caccia di qualche copia o contatto in più.
Chi verifica le notizie?
Se il giornalismo professionale ha un futuro nel mondo della comunicazione globale, lo ha nella misura in cui è (sarà) in grado di offrire qualcosa in più rispetto a ciò che un qualsiasi altro cittadino può postare su un social network. Il valore aggiunto giornalistico sta nella verifica, nel riscontro accurato, nella valutazione del rilievo e dell'interesse pubblico di tale notizia; nell'opera di correlazione con un contesto e con altri eventi al fine di fornire al fruitore della notizia gli strumenti per valutarla e farsi un'opinione la più completa possibile. Nella correttezza, nella lealtà e buona fede con cui svolge il proprio lavoro, e dunque nel rispetto delle norme deontologiche. Che non sono meri divieti, ma principi che consentono a tutti di lavorare meglio.
Troppe bufale, credibilità ai minimi
Il giornalista ha sempre raccolto notizie e spunti di approfondimento dalla gente, dal territorio: una volta ciò accadeva prevalentemente al bar, incontrando le persone per strada, attraverso telefonate in redazione oppure una lettera o un fax. Oggi molte notizie arrivano dai social, ma il dovere di verifica e riscontro è analogo, per evitare le sempre più numerose "bufale"; la diffusione delle immagini di persone che non hanno nulla a che vedere con i fatti di cui si sta parlando. La nostra credibilità oggi è al minimo perché le regole base della professione sembrano sempre più spesso dimenticate (trascurate?).
Non facciamo spettacolo
E cosa dire della scelta delle notizie? Della tendenza ad amplificare ed esasperare tutto? Fatti che pochi anni fa avrebbero avuto al massimo spazio in una breve vengono spesso "sparati" a tutta pagina, magari con richiamo in prima. Per quale motivo le risorse vengono sempre meno dedicate ad approfondimenti ed inchieste e sempre di più nell'attività di copia-incolla di comunicati, ma anche di foto e video?
Dignità calpestata
L'informazione non può prescindere dal rispetto della dignità della persona. Il che non significa censurare le notizie. Significa scriverle con attenzione, ricordandosi sempre che dietro ogni storia ci sono persone, emozioni, affetti, dolori. Vite vere, non fiction televisiva.
Le leggi, le regole della professione e la giurisprudenza sanciscono la piena e ampia libertà di cronaca e di critica, a patto che il fatto sia vero (non verosimile...), che vi sia interesse pubblico e che la notizia sia scritta con continenza, nel rispetto del principio dell'essenzialità e delle altre norme a tutela della privacy. In particolare quando riguardano minori, soggetti deboli, nonché la sfera sessuale e della salute delle persone. Oppure quando fanno riferimento ad elementi che caratterizzano sul piano etnico, razziale, religioso, sociale (che so, rom, magrebino, musulmano, ex carcerato, gay, epilettico ecc.), anche per evitare sentimenti di ostilità generalizzata nei confronti di interi popoli o categorie o gruppi. L'odio diffuso attraverso i media ha contribuito ad un tragico genocidio in Ruanda, solo per fare un recente esempio.
Suicidi, più cautela per evitare emulazioni
Un tema delicato è quello dei suicidi. Numerose ricerche dell'Organizzazione mondiale della sanità confermano l'esistenza di una stretta correlazione tra la pubblicazione di notizie di suicidi e un aumento del numero degli stessi. L'effetto emulazione esiste ed è concreto: non possiamo far finta di nulla. Dobbiamo farcene carico e operare con senso di responsabilità, ricordandoci che più si scrive di casi di suicidio, più persone decidono di togliersi la vita.
Ci sono casi di interesse pubblico e molti altri che non ne hanno, ai quali senza motivo viene dedicato ampio spazio, per di più con dovizia di particolari sulle modalità con cui la vittima di turno ha deciso di togliersi la vita. L'interesse pubblico e l'essenzialità dell'informazione in casi come questi devono essere la regola. E comunque, se il giornalista ritiene di non poter non dare la notizia, perché non si cerca di affrontare il tema in modo "costruttivo", intervistando un esperto in grado di fornire possibili vie d'uscita al disagio, invece di occuparsi delle modalità con cui è stato stretto un cappio al collo? Le ricerche scientifiche spiegano che non c'è mai una causa univoca (crisi aziendale o delusione amorosa): le semplificazioni contribuiscono soltanto ad alimentare l'effetto emulativo. Per rendersene conto è sufficiente leggere i giornali: quasi sempre, dopo un titolo a tutta pagina, nei giorni successivi è una triste catena di altri suicidi.
Ciascuno di noi può fare molto
Non sempre è facile, travolti come siamo dai frenetici ritmi della cronaca. Ma ciascuno di noi può fare molto, nello svolgimento del lavoro quotidiano, per fermare l'attuale deriva che avrà l'effetto di continuare a far perdere ulteriori copie e audience ai media. Cosa che, evidentemente, editori e direttori non hanno ancora capito, impegnati come sono a rincorrere i clic ad ogni costo su Internet, abbassando progressivamente il livello dell'informazione e svendendo la professionalità dei giornalisti.
Informazione comprata
Un'ultima riflessione riguarda la preoccupante, crescente commistione tra pubblicità e informazione. La pubblicità, il marketing non vanno demonizzati, tanto meno in una fase di grave crisi. L'unica strada per difendere il lavoro giornalistico, per distinguerlo dalle "marchette" è la trasparenza. La netta divisione tra ciò che è lavoro giornalistico e ciò che è "comperato", sponsorizzato. Anche su questo fronte la responsabilità principale è dei vertici, ma ciascuno di noi può fare tanto, nel suo piccolo, per rendere migliore l'informazione e per fornire un servizio onesto ai cittadini.

Gianluca Amadori
Presidente Ordine dei Giornalisti del Veneto

Commenta Tino Bedin

La riflessione del collega Amadori non è una "lezione" di giornalismo: è il racconto di un'esperienza quotidiana, è cronaca verificata e quindi credibile e realistica. Una cronaca utile ai giornalisti, ma interessante anche per gli utenti dell'informazione.
L'indice della riflessione di Amadori vale per oggi, ma era utile - sarebbe stato utile - anche ieri. Svolgendo la quasi totalità della mia professione giornalistica non con l'urgenza del quotidiano, mi sono da sempre interrogato sul dolore aggiunto dalla cronaca giornalistica a quello già vissuto da persone e famiglie protagoniste di tragedie volontarie o involontarie; mi domandavo se con il prezzo del giornale fossimo costretti a pagare anche la vita delle persone.
Per questo spero che si allarghi la riflessione di Gianluca Amadori, magari scegliendo un titolo e provando a rispondere alle domande che ci pone. Come si può capire, io partirei del titolo "Dignità calpestata".
Come aggiunta - come mi piace fare da quando c'è Papa Francesco - ecco qualche spunto che il Santo Padre ci ha offerto due mesi fa.
"La disinformazione, la calunnia e la diffamazione. Questi tre sono i peccati dei media. La disinformazione, in particolare, spinge a dire la metà delle cose, e questo porta a non potersi fare un giudizio preciso sulla realtà. Una comunicazione autentica non è preoccupata di "colpire": l'alternanza tra allarmismo catastrofico e disimpegno consolatorio, due estremi che continuamente vediamo riproposti nella comunicazione odierna, non è un buon servizio che i media possono offrire alle persone. (…) Di questi tre peccati - la disinformazione, la calunnia e la diffamazione - la calunnia sembra sia il più grave, ma nella comunicazione il più grave è la disinformazione, perché ti porta a sbagliare, all'errore; ti porta a credere soltanto una parte della verità".

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Tino Bedin