Caro senatore Bedin,
ieri abbiamo vissuto la Giornata della Pace che Papa Paolo VI ci ha proposto per richiamarci un bene supremo all'inizio di ogni anno. Le ragioni per pregare sono molte e riguardano anche il presente e il futuro di noi europei.
La guerra è di nuovo vicina. Inevitabile che alzino la voce quanti pensano che la pace sia una questione di… guerra. Mentre si moltiplicano le crisi internazionali e i conflitti, gli investimenti per la difesa sono presentati sempre più come "essenziali". Chi come me vorrebbe trovare dai tagli alla spesa militare risorse da destinare alla vita delle persone, viene fatto tacere con l'insistenza sui rischi.
Ci si dice che si sottovaluta il pericolo; che le spese per la Difesa sono essenziali per un paese, soprattutto in questo periodo di turbolenze. Ci viene ricordano che viviamo in tempi difficili, che quindi le spese militari sono importanti, sono investimenti per il nostro futuro, in particolare per la nostra sicurezza.
Si aggiunge che poi le spese per armamenti producono posti di lavoro: addirittura posti di lavoro avanzanti, perché le armi esigono tecnologia e ricerca.
Ogni volta è così e ogni volta mi chiedo se pregare il Dio della pace sia… rendere meno sicuri i miei concittadini.
Commenta Tino Bedin
Già Isaia nella Bibbia risponde all'obiezione di chi continua a presentare l'industria bellica come insostituibile fonte di lavoro: "Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra" (Isaia 2,4). Questo grande poeta e profeta d'Israele nell'ultimo versetto citato che c'è anche un'educazione da modificare. Se non si eserciteremo più "nell'arte della guerra", troveremo tempo e risorse intellettuali ed organizzative per esercitarci nelle arti della pace, della conoscenza, della vita.
La questione quindi non è questa.
Piuttosto, l'Italia fa parte di una comunità internazionale, nella quale ha obblighi volontariamente e democraticamente assunti. Tra questi obblighi ci sono anche quelli che riguardano la difesa comune. In base a questi impegni dobbiamo essere preparati a ridurre e possibilmente eliminare i rischi per la popolazione e per la libertà.
All'inizio della storia dell'uomo c'è una domanda che Dio ripeterà a ciascuno di noi: "Che cosa hai fatto del tuo fratello?" (Genesi 4,9-10). È questa l'ottica nella quale metterci: l'ottica della fraternità, che non è solo personale ma anche tra nazioni, come ci ha insegnato il beato Papa Paolo VI nell'enciclica "Populorum progressio". Non ci è consentito girarci dall'altra parte, non ci è consentita l'indifferenza, uno dei peccati che Papa Francesco non manca di citare, come ha fatto anche nel suo primo messaggio per la Giornata mondiale della pace: "Molti nostri fratelli e sorelle hanno continuato a vivere l'esperienza dilaniante della guerra, che costituisce una grave e profonda ferita inferta alla fraternità. Molti sono i conflitti che si consumano nell'indifferenza generale".
Fare quello che ci tocca, dunque, senza nasconderci - a proposito di industria militare - una verità che in questo stesso messaggio Papa Francesco mette a nudo: "Finché ci sarà una così grande quantità di armamenti in circolazione come quella attuale, si potranno sempre trovare nuovi pretesti per avviare le ostilità. Per questo faccio mio l'appello dei miei Predecessori in favore della non proliferazione delle armi e del disarmo da parte di tutti, a cominciare dal disarmo nucleare e chimico".
|