Questa domenica, la prima dopo il tragico attentato in Francia che sta moltiplicando nel mondo commenti di diverso tipo, il Vangelo ci parla dello Spirito del Signore che si posa su Gesú. E che lui, dalla croce, ha restituito a tutta l'umanitá, come soffio ricreatore.
Riflettendo sul terrorismo, Leonardo Boff offre questa sintesi: "È ogni tipo di violenza spettacolare, praticata con il proposito di occupare le menti con paura e terrore". I fatti di questi ultimi giorni stanno prendendo possesso delle nostre menti e installando in molte persone sentimenti profondi, radicali e fondamentalisti.
Si affonda in alcuni lo spirito della vendetta e dell'intolleranza. Si rafforza in altri lo spirito del pregiudizio, della generalizzazione. Altri ancora cavalcano lo spirito dell'opportunismo politico, perché nel tempo della paura il potere si rafforza.
È probabile che si consolidi, a livello internazionale, lo spirito del terrorismo istituzionale, che legittima la militarizzazione, la caccia al nemico, la pena di morte e la tortura intesi come strumenti di repressione e prevenzione, le barriere etniche, religiose e economiche per difendere identitá e privilegi esclusivi.
Puó aumentare una spirale di violenza che stimoli, da parte di chi si sente aggredito (culturalmente, economicamente o militarmente) nuovi attentati e minacce.
Credo profondamente che la fede, malgrado le deviazioni che ha sofferto nelle diverse forme in cui cerca di incarnarsi, abbia ancora molta luce da offrire nello scenario di questo imbrunire delle nostre civiltà.
C'è uno Spirito diverso che può nutrire la nostra speranza di vita e di fraternitá.
Capisco meglio, oggi, il gesto troppo pubblicizzato di papa Francesco che ha chiamato alla preghiera, in un giardino, lo spirito musulmano e ebreo dei capi del governo israeliano e palestinese.
In maniera attenta, continua e molto lenta, dobbiamo lavorare sullo spirito che occupa le nostre menti, il nostro modo profondo di leggere la storia e di interpretarla, smascherando gli altri spiriti "ambigui" che la dirigono, ci influenzano e stanno costruendo una societá sempre piú razzista, militarizzata e aggressiva.
"Una matita non sgozza nessuno", diceva una delle vittime della follia terrorista. Peró la matita, la parola ed il pensiero nutrono azioni, influenzano pensieri e culture. Come è importante la cura che dobbiamo porre al nostro modo di coltivare idee, fedi, valori e principi per le scelte individuali e comunitarie…
Come è importante, in questa domenica in cui circolano migliaia di commenti sui fatti di Parigi, indagare sullo Spirito che si posa sul Galileo, uomo di periferia, di una terra di rivoltosi ed esclusi, "dall'altra parte della civiltá" (oltre il fiume Giordano).
Come è importante dare visibilitá a quello che giá succede da tempo, sull'altra riva: persone che quotidianamente ed in silenzio si dedicano al dialogo interculturale, all'accoglienza e all'inclusione dello straniero; persone di diverse fedi che si incontrano in cerca dello Spirito, per esempio esattamente in Francia, a Taizé, o come cercheremo di fare in Tunisia, in preghiera inter-religiosa al prossimo Forum Sociale Mondiale…
E come anche noi, nel nostro quotidiano, possiamo cercare di vivere vincendo la banalitá del pregiudizio, esercitandoci nell'arte dell'incontro, del perdono, controllare il nostro razzismo, interrompendo la spirale della violenza ad ogni passo, come se fosse spegnere fiammiferi...
Padre Dario Bossi missionario comboniano in Brasile
Commenta Tino Bedin
Come commento, mi pare utile arricchire le parole di padre Bossi, centrate sulla fede, con alcune righe - queste centrate sulla cittadinanza - del commento del filosofo e giornalista francese Bernard-Henri Lévy, filosofo giornalista francese, pubblicato in Italia dal Corriere della Sera venerdì 9 gennaio, sotto il titolo "Non alziamo le mura di una fortezza".
"La Francia può - anzi, deve - ricompattare le difese che non siano, però, le mura di una fortezza assediata. La Francia deve - e lo deve a se stessa - mettere in campo un antiterrorismo senza poteri speciali, un patriottismo rivitalizzato, ma senza Patriot Act, una governabilità che, in poche parole, non cada in nessuno dei tranelli dove rischiarono di naufragare gli Stati Uniti dopo l'11 settembre.
"A questo ci hanno invitato implicitamente le parole del segretario di stato americano John Kerry, che fu dieci anni or sono l'avversario sfortunato ma dignitoso di quel pessimo antiterrorista di George W. Bush. L'omaggio da lui reso nella nostra lingua, il francese, ai dodici martiri di quello che oltreoceano si chiama il Primo emendamento, quel "Je suis Charlie", ripetuto nello stesso francese del discorso commovente del presidente Roosevelt, l'8 novembre del 1942, sulle onde di Radio Londra, non ha forse avuto il doppio merito di ribadire non solo la dimensione epocale dell'avvenimento, ma anche di rivolgere alla nazione alleata un velato ammonimento contro la tentazione, sempre in agguato, di far ricorso alla tortura, a Guantánamo, e alla biopolitica liberticida?
"A noi tutti, cittadini, spetta il dovere di superare la paura, di non reagire al terrore con lo spavento, di non armarci contro lo spauracchio dell'altro, di non cadere preda di sospetti diffusi, quasi sempre frutto di simili eventi traumatizzanti. Nel momento in cui scrivo, la saggezza repubblicana ha avuto la meglio. Quel "Je suis Charlie" inventato lì per lì, e come all'unisono, in tutte le grandi città della Francia, segna la nascita di uno spirito di resistenza degno del nostro passato migliore. E gli istigatori degli animi, che predicano senza sosta la divisione tra i francesi autoctoni e i discendenti degli immigrati, coloro che seminano zizzania e - al Front National come altrove - già vedono in queste dodici esecuzioni una nuova rivelazione divina a conferma dell'inesorabile avanzata della marea islamica e della nostra vile genuflessione ai profeti della "Sottomissione", ebbene costoro non avranno i risultati sperati".
|