Onorevole Bedin,
la visita di Papa Francesco a Redipuglia sabato scorso in memoria dei caduti e delle vittime di tutte le guerre, è stata "consumata" dall'informazione nel giro di un giorno. A me pare che tutta la comunità debba continuare quella visita, che non è stata una celebrazione ma un pianto, come ha detto lo stesso Pontefice, richiamandoci ai "risultati" veri di quella guerra (come di quelle che l'hanno seguita: i 100 mila soldati sepolti a Redipuglia, i 20 milioni di persone che la Grande Guerra ha lasciato sul campo, i 21 milioni di feriti, mutilati e invalidi. "C'è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire!" ha gridato Papa Francesco, richiamando il contenuto di questa responsabilità: "La pace è un dono troppo prezioso che deve essere promosso e tutelato".
Non è una responsabilità teorica; è per adesso. Adesso infatti la pace è nuovamente negata. È la Terza Guerra Mondiale ci ha avvertito qualche settimana fa ancora Papa Francesco. In molti rinunciano a non vedere e a fare i conti con le loro responsabilità; eppure il pericolo è grande anche da noi che da 70 anni abbiamo la fortuna di non essere toccati direttamente dalla guerra.
Commenta Tino Bedin
A partire dalla Prima Guerra del Golfo gli Stati - più che le opinioni pubbliche - hanno ripreso a considerare la guerra come strumento di rapporti internazionali. Toltasi di dosso la paura dell'olocausto nucleare, con la fine della Guerra Fredda, è stato un crescendo di interventi "locali" che invece di "risolvere" situazioni di crisi le hanno incancrenite e rese contagiose.
Le opinioni pubbliche si sono tragicamente abituate. I "pacifisti" non sono né in piazza né in Parlamento.
E allora ci vuole il grido di Papa Francesco, drammatico, duro: troppo duro - come dice il nostro lettore e come ci ha preavvertiti proprio il Papa- per l'informazione di oggi.
Ad essere onesti, la prima pagina dei giornali dovrebbe avere come titolo: "A me che importa?". Caino direbbe: "Sono forse io il custode di mio fratello?".
Qui e nell'altro cimitero ci sono tante vittime. Oggi noi le ricordiamo. C'è il pianto, c'è il lutto, c'è il dolore. E da qui ricordiamo le vittime di tutte le guerre. Anche oggi le vittime sono tante… Come è possibile questo? E' possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c'è l'industria delle armi, che sembra essere tanto importante! E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: "A me che importa?".
È proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore, pentirsi, chiedere perdono e piangere. Con quel "A me che importa?" che hanno nel cuore gli affaristi della guerra, forse guadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto ha perso la capacità di piangere. Caino non ha pianto. Non ha potuto piangere. L'ombra di Caino ci ricopre oggi qui, in questo cimitero. Si vede qui. Si vede nella storia che va dal 1914 fino ai nostri giorni. E si vede anche nei nostri giorni.
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