Carissimi,
da pochi giorni sono rientrato dalla Sierra Leone dove ho incontrato autorità, operatori sanitari, popolazione locale e ho misurato con mano la complessità della situazione. Vi riporto, di seguito, brevi appunti che ho raccolto nei giorni che ho vissuto sul campo. Per condividere fatiche, dolori, impegno che i nostri continuano a spendere ogni giorno restando in prima linea.
25 agosto 2014
Ieri, tarda serata, arrivo a Freetown, con un aereo dell'Air France. Assieme al passaporto e all'entry permit ti controllano anche le febbre. Già da subito ti intimorisci perché lo fanno con una sorta di "pistola laser" che ti puntano alla tempia. Sembra già una "profezia" di condanna a morte. Oggi sveglia all'alba per trasferirci a Pujehun, distretto rurale nel Sud del Paese dove stiamo lavorando. Prima del viaggio però una rapida visita all'ospedale governativo della capitale, Connaught Hospital: un giovane paziente sospetto di Ebola, rinchiuso nell'isolation unit in attesa dell'esito del test di laboratorio, urla e si dimena come un ossesso, sputando e gridando che lui non è ammalato e che vuole uscire. Cerchiamo di ripararci ma capisci subito quanto facili siano i contatti con la malattia. A Freetown la vita è come rallentata, meno affannosa del solito, le strade quasi deserte. Anche da Franco, un noto ristorante sulla costa dell'oceano, i clienti si sono drasticamente ridotti: da una media di 150-200 durante il fine settimana adesso si arriva a malapena a 8-10, ci racconta il proprietario italiano.
26 agosto
Siamo a Pujehun. Ore 9, nel compound dell'ospedale si ritrova il District Health Management Team (DHMT) di cui il Cuamm fa parte. Ogni giorno si fa il punto sulla situazione dell'epidemia nel distretto, uno dei più popolosi ed estesi del Paese, più di 300.000 persone. Finora 9 morti per Ebola, quasi tutti provenienti da Zimmi, il focolaio (hot spot) più acuto della malattia, una delle località del distretto, oltre il fiume Moe. Si fa il punto sui materiali: guanti, stivali, tute, occhiali, maschere, clorina; e poi la formazione del personale, i contact tracers (coloro che studiano come e dove sono avvenuti i contatti e si spostano nelle comunità per identificare i casi sospetti), l'isolation unit con acqua corrente e luce fino ai "burial team" (gruppi di 8 persone che sono incaricati della corretta sepoltura dei corpi, il momento forse più favorevole per il contagio). In tarda serata intanto, Ibrahim, un bambino di 14 mesi non ce la fa: la grave malaria e la malnutrizione ancor più drammatica lo hanno ucciso. Paolo, chirurgo, e Chiara, ostetrica, hanno continuato per quasi un'ora a rianimarlo. Alla fine, Chiara con le lacrime agli occhi mi guarda e mi dice: "Speravo proprio di tirarlo fuori; gli volevo bene!!". Assieme all'Ebola la gente continua ad ammalarsi e a morire per cause molto più ordinarie e meno clamorose!!
27 agosto
Visita all'ospedale di Kenema, nel distretto vicino al nostro, cuore dell'epidemia in Sierra Leone. Entriamo nella struttura; è completamente vuota se non fosse per gli ammalati di Ebola. È un campo di concentramento: guardie in tuta bianca, percorsi obbligati, regole rigide, check-point ovunque. La gente ha paura e anche noi! Osservo una giovane mamma con il suo bambino in braccio: ha appena saputo che la sua creatura, sospettata di Ebola a causa della febbre, non c'è l'ha. Una lacrima le scende dal viso mentre lo stringe forte e lo bacia!! Senti di essere davanti a una "bestia" invisibile, impalpabile eppur mostruosa e mortale! Mentre aspettiamo, due "marziani" con stivali, tuta ed elmetto trasportano fuori dal reparto "Ebola" un corpo nascosto in un telo bianco, lo depositano su una barella per portarlo nella "mortuary" (obitorio). Dopo mezz'ora ne vediamo un altro. E ogni giorno così! Finora, solo a Kenema, ci sono stati 158 morti di Ebola, di cui 27 tra medici e infermieri. Solo negli ultimi 3 giorni ci sono stati 4 tecnici di laboratorio che hanno perso la vita. La bacheca davanti all'ufficio del Direttore dell'ospedale, dottor Vandi, è tappezzata di epigrafi-ricordo con dati e foto del personale sanitario scomparso: trentadue, trentasette, ventotto, trentacinque anni e così via; e tutti tra giugno e agosto. Il cuore si stringe perché intravedi in quelle foto le loro vite, i loro affetti, i loro sogni, stroncati e distrutti, in un batter d'occhio. Senti il bisogno di silenzio e di preghiera. Abbiamo concluso la giornata accompagnando il pick-up dell'ospedale fino ad un vicino campo adibito a cimitero: altri tre corpi sepolti, ad allargare l'esercito dei caduti!! Durante il viaggio di ritorno a Pujehun non c'era voglia di parlare.
28 agosto
Ultimo giorno: siamo stati a Zimmi. Sveglia presto al mattino. Quattro ore di macchina, due ore di attesa prima di attraversare il fiume e poi fino a questa cittadina di 10.000 abitanti, che è il focolaio, il centro dell'epidemia del distretto di Pujehun. Da lì sono venuti i casi di Ebola che abbiamo avuto nel nostro distretto, 9 casi, gli ultimi due morti poco prima che arrivassimo. Sono abbandonati perché non esiste una isolation unit, e sepolti dopo la morte in una fossa comune dietro questo edificio. Manca tutto, manca in particolare il materiale di protezione per il personale sanitario. Abbiamo poi visitato la scuola, negli ultimi giorni al centro dell'attenzione delle autorità locali. Ci sono 46 mamme, bambini e qualche adulto maschio messi in quarantena, isolati dalla comunità, perché c'è paura che diffondano il contagio. Così, se anche ci fossero uno o due contatti confermati Ebola postivi, il rischio è che tutti gli altri - proprio perché vivono a stretto contatto - possano contrarre il virus. Sarebbe un dramma. La gente ha paura".
Credo che questa testimonianza diretta vi esprima l'importanza di quanto stiamo facendo. Da un lato, dare agli operatori sanitari tutti gli strumenti di protezione di cui hanno indispensabile bisogno: a partire dall'ospedale e, con grande difficoltà, anche i centri sanitari, sono stati dotati di materiale protettivo, formati sull'epidemia e sulle procedure di prevenzione e protezione, incluse quelle riguardanti la sepoltura in biosicurezza dei corpi dei pazienti deceduti. Dall'altro continuare nel lavoro di identificazione, isolamento e trattamento dei malati: è stato avviato un sistema di triage per l'identificazione dei casi sospetti nei centri sanitari. Questi ultimi sono trasferiti in isolamento presso una tenda allestita ad hoc in una zona isolata dell'ospedale, provvista di passaggi separati per pazienti, operatori e familiari a seconda dei livelli di rischio. I campioni di sangue sono inviati al laboratorio dell'ospedale regionale di Kenema. I pazienti trovati positivi a EBOV sono trasportati direttamente da Pujehun al reparto Ebola di Kenema. Insieme a questo si continua la sensibilizzazione delle comunità, ricerca dei contatti e controllo del territorio. La risposta delle comunità è tuttora influenzata dalla paura e dal rigetto dei provvedimenti.
In questi ultimi giorni si è dunque aperto un nuovo fronte di difficoltà, come testimonia la nostra Clara anche nel suo ultimo rapporto: "Ieri sono stata a Zimmi assieme alla nutrizionista del DHMT dove ho trovato una situazione pesante. La popolazione è a dir poco terrorizzata. Abbiamo fatto il viaggio in macchina passando da Bo, Kenema e Zimmi. Totale 12 ore di viaggio (andata e ritorno) su strade veramente difficili da percorrere. Abbiamo passato diversi check point senza problemi visto che siamo team sanitario ma normalmente nessuno può entrare ed uscire da Zimmi. Raggiungere Zimmi via strada è quindi da scartare. Ci rimane la solita strada con il fiume da attraversare. L'attraversamento con ferry boat è sospeso e continuerà ad esserlo ancora per settembre e forse, se le piogge continuano con questa intensità, anche ottobre. Già Don Dante aveva contattato un proprietario di una barca (dicono grande) per trasportare cibo e personale con relative motociclette…. Cosa serve? Acqua, luce, mobilio, latrine, docce, un inceneritore e una cucina: non esiste nessuna struttura da adibire a cucina e sicuramente va costruita in materiale locale, i soliti contenitori per acqua, lampade portatili, telefoni per comunicare con rispettive ricariche, gasolio, farmaci, materiale di protezione personale, disinfettanti. I locali non hanno nessuna possibilità di sostenere i costi per gasolio e manutenzione dell'ambulanza. C'è bisogno anche di cibo per la popolazione. In effetti Zimmi è chiusa, gli spostamenti della popolazione sono vietati e di fatto la cittadina (anche se non ufficialmente) è in quarantena. Quindi non possono recarsi all'ospedale di Kenema, non possono acquistare cibo e continuare i normali scambi e commerci". (Clara Frasson, 6 settembre)
La situazione è davvero drammatica e ci sentiamo interpellati nel vivo. Dobbiamo continuare a garantire in primis i servizi sanitari di base. A Pujehun, ci sforziamo di mantenere aperti i servizi di emergenza chirurgica, ostetricia e pediatria e a sostenere i centri sanitari periferici. Il sistema sanitario deve dare segnali concreti che i servizi funzionano, sono efficaci e sicuri, nonostante l'epidemia. Ma anche le necessità circostanti chiamano in causa: dobbiamo fronteggiare l'epidemia in modo sempre più ampio. A Zimmi c'è bisogno del nostro supporto in tutte le componenti logistiche e assistenziale, ma anche di aiuto per la carenza, sempre più evidente, di cibo e derrate alimentari.
Abbiamo toccato con mano il vostro sostegno e la vicinanza fattiva e concreta. Sono certo che continuerete a farlo, in questa condivisione profonda tra noi qui e i nostri sul campo. Restiamo vicini nel pensiero e nella preghiera.
Un saluto riconoscente e affettuoso a tutti.
Don Dante Carraro Direttore Medici con l'Africa Cuamm
Come possiamo aiutare:
Con 10 euro assicuri materiale informativo e di sensibilizzazione alla popolazione locale
Con 20 euro garantisci il trasferimento del paziente sospetto dalle unità periferiche all'ospedale
Con 30 euro copri i costi di analisi e test di controllo
Con 100 euro assicuri i kit completi di protezione individuale: guanti, occhiali, camice, maschera, copri scarpe o stivali, copricapo
Causale Emergenza Ebola c/c postale 17101353 intestato a Medici con l'Africa Cuamm IBAN: IT 91H0501812101000000 107890 per bonifico bancario presso Banca Popolare Etica, PD.
Commenta Tino Bedin
Sia Clara Frasson sia don Dante Carraro richiamano l'attenzione su un altro rischio che incombe sulle popolazioni assediate da Ebola: la fame di massa. Tragedia si aggiunge a tragedia, come ben sanno le persone di Medici con l'Africa Cuamm per esperienza e per storia. Il rischio della fame è esteso a tutta l'area colpita da Ebola. Proprio questa settimana la Fao ha avvertito che "le interruzioni degli scambi e della commercializzazione dei prodotti alimentari nei tre paesi dell'Africa occidentale più colpiti dal virus Ebola hanno reso il cibo sempre più costoso e difficile da trovare, mentre la carenza di manodopera mette a serio rischio la prossima stagione produttiva".
"L'accesso al cibo è diventato una preoccupazione pressante per molte persone nei tre paesi colpiti e in quelli confinanti" ha affermato Bukar Tijani, rappresentante regionale della Fao per l'Africa ed ha aggiunto: "Con il raccolto principale ora a rischio e con gli scambi ed i movimenti di merci fortemente limitati, l'insicurezza alimentare è destinata ad intensificarsi nelle settimane e nei mesi a venire. La situazione avrà effetti di lungo periodo sulle condizioni di vita degli agricoltori e sull'intera economia rurale". "Anche prima del diffondersi dell'epidemia di Ebola, le famiglie in alcune delle zone colpite spendevano fino all'80 per cento del loro reddito per il cibo", ha fatto sapere Vincent Martin, responsabile del "Resilience Hub" di Dakar della Fao, che sta coordinando la risposta dell'agenzia all'emergenza. "Queste ultime impennate dei prezzi stanno di fatto mettendo il cibo fuori dalla loro portata e la situazione può avere ripercussioni sociali che potrebbero portare ad un grave impatto sul contenimento della malattia".
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