Basta con chi fa finta di non vedere. Basta con chi pensa che una partita di pallone sia più
importante di un'intera popolazione inerme sotto le bombe… Basta con chi dà del terrorista a
un'intera popolazione senza mai aver voluto ascoltare le voci di Gaza. Basta con giornalisti che
scrivono articoli comodamente seduti da casa o dalle redazioni a Roma e Milano. Basta con
l'equidistanza a tutti i costi. Basta con le condanne bipartisan e con le parole misurate.
Siamo operatori umanitari e condanniamo la violenza verso i civili, SEMPRE.
Per questo non possiamo restare silenti dinanzi ad un attacco armato indiscriminato verso
una popolazione che non ha rifugi, posti sicuri o possibilità di fuga. Una popolazione
strangolata economicamente e assediata fisicamente, rinchiusa in una prigione a cielo aperto.
Non possiamo far finta di nulla. Noi Gaza la conosciamo perché ci lavoriamo, perché la viviamo
e lì abbiamo imparato cos'è la sofferenza, ma anche la resistenza. E non parliamo di lancio di
razzi: per i circa due milioni di persone che risiedono a Gaza, che vivono da 48 anni sotto
occupazione, dimenticate dal mondo, che piangono morti che sono sempre e solo numeri, che
subiscono interessi politici sempre più importanti della vita umana... resistere è essere capaci,
nonostante tutto, di andare avanti.
Gaza ci ha insegnato semplicemente la dignità umana.
Siamo qui e ci sentiamo inermi e, ancora una volta, esterrefatti perché continuiamo a leggere
articoli di giornale che a nostro avviso non rispecchiano la realtà. Non raccontano lo squilibrio
tra una forza occupante e una popolazione occupata. Enfatizzano la paura israeliana dei razzi
lanciati da Gaza, che condanniamo ma che, fortunatamente, non hanno procurato morti e
riducono a semplici numeri le oltre 100 vite spezzate a causa dei bombardamenti Israeliani in
meno di tre giorni.
Tutto ciò che scriviamo non è frutto di opinioni personali o giudizi morali; è sancito e ribadito
dai principi del diritto internazionale e del diritto umanitario internazionale, che muovono il
nostro operato ogni giorno.
Riteniamo inaccettabile che la risposta all'omicidio dei 3 coloni, avvenuto in circostanze
ancora ignote, sia l'indiscriminata punizione di una popolazione civile indifesa: il diritto
umanitario vieta le punizioni collettive - definite crimini di guerra dalla IV Convenzione di
Ginevra (art. 33).
Israele ha addossato la responsabilità ad Hamas, attaccando immediatamente la Striscia,
causando la risposta dei gruppi palestinesi con il lancio di missili su Israele. Il governo
israeliano sostiene di voler colpire gli esponenti di Hamas e le sue strutture militari. È davanti
agli occhi di tutti che ad essere colpiti finora sono soprattutto bambini e donne. Basta con lo
scrivere che Israele reagisce ai missili da Gaza, la verità per chi vuol vederla e i numeri, se non
interpretati con slealtà, sono chiari.
Dall'8 luglio, inizio dell'operazione militare "Protective Edge", Israele ha bombardato 950
volte la Striscia, distruggendo deliberatamente oltre 120 case, (violando l'articolo 52 del
Protocollo aggiuntivo I del 77 della convenzione di Ginevra), uccidendo 102 persone (inclusi
30 minori 16 donne,15 anziani e 1 giornalista) ferendo oltre 600 persone, di cui 50 in
condizioni molto gravi.
Oltre 900 persone sono rimaste senza casa, 7 moschee, 25 edifici pubblici, 25 cooperative
agricole, 7 centri educativi sono stati distrutti e 1 ospedale, 3 ambulanze, 10 scuole e 6 centri
sportivi danneggiati.
Dall'altro lato, il lancio di razzi da Gaza, secondo il Magen David Adom (servizio emergenza
nazionale israeliano), ha causato 123 feriti di cui: 1 ferito grave; 2 moderati; 19 leggeri; 101
persone che soffrono di shock traumatico.
Di fronte a questi numeri ci sembra intollerabile la non obiettiva copertura di gran parte della
stampa internazionale e nazionale dell'attacco israeliano verso la Striscia di Gaza. Per questo
riteniamo necessario prendere posizione e ribadire la necessità di riportare l'informazione,
sullo scenario militare in corso, alle dovute proporzioni.
Ci appelliamo infine ai responsabili politici in causa e a quanti possano agire da mediatori,
affinché le operazioni militari cessino immediatamente e perché si ponga fine all'assedio nella
Striscia di Gaza.
Cooperanti italiani in Palestina
Commenta Tino Bedin
A conclusione della loro lettera precisano: "Siamo un gruppo di cooperanti che vive e lavora in Palestina. Tutto ciò che scriviamo è
verificato da testimonianze sul campo e da fonti di agenzie internazionali".
Qualche mese fa il segretario di Stato americano John Kerry si era rassegnato all'evidente assenza di un compromesso di pace di fronte all'ostinazione di israeliani e palestinesi. Papa Francesco ha provato a farsi compagno di palestinesi e israeliani lungo una strada diversa. Su quella strada di pace subito sono stati gettati quattro morti: Naftali, Gilad, Eyal e Muhammad. Chi ancora si ricorda dei tre studenti israeliani e del ragazzo palestinese uccisi proprio per innescare una nuova guerra? Importa ancora che sia fatta giistizia?
Eppure la tragedia di questi popoli è lì a dire che per quante occupazioni della striscia di Gaza vengano organizzate, per quante tregue alla fine vengano raggiunte, nessuno è poi più sicuro di prima. La guerra non ha risolto nessuno dei problemi per cui viene combattuta.Ma la guerra sembra la soluzione tragicamente più semplice... "Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra" aveva ricordato Papa Francesco nel giorno in cui in Vaticano Abu Mazen e Shimon Peres hanno pregato con lui e con il Patriarca ecumenico Bartolomeo. Ancora una volta questo coraggio è mancato.
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