Il male più grande è provocare, volontariamente, sofferenza e morte ad altre persone, soprattutto ai bambini, alle donne, agli anziani, ai malati. Il giorno della memoria, non è del passato!
L’odio armato di fucili e bombe, fautore di stragi annunciate già nella fabbriche che li hanno prodotti, tra la connivenza di chi governa e la rassegnazione dei più alla violenza, tra l’incapacità e la non volontà di progettare un mondo di pace da parte degli organismi internazionali, aleggia nell’atmosfera, insieme alle polveri sottili.
Mi viene da pensare che poco si sta facendo per impedire l’esplosione del male, cresciuto, coltivato da quelli che dal male intendono ottenere potere e ricchezza. Come prevenire, come arrestare questa marea nera che avanza, impedendole di sommergere uomini e città, alberi e fiori?
È così che si può fare:
- Che ciascuno si senta rispettato e accolto, meglio ancora amato.
- Che a ciascuno sia permesso di vivere entro la soglia della dignità dove il lavoro procura pane e alimenta sogni e speranze.
- Che nessuno venga rifiutato, offeso, emarginato e, quando sbaglia, venga accompagnato nella comprensione del suo errore.
- Che nessuno possa disporre di ricchezze enormi: anche alla ricchezza è necessario porre un limite. Quanto resta deve essere restituito a chi non ha nulla e che, dalle piantagioni e fabbriche dei paesi del sud del mondo e da quelle chiuse perché delocalizzate del nord, chiede giustizia e lavoro.
- Che a tutti sia permesso di capire le finalità ultime e le modalità attuative di ogni politica, economia e religione, perché nessuno possa appropriarsi di volontà inibite dall’ignoranza alimentata da vuoto culturale, da paure, da interessi di parte.
- Che noi esseri umani, persone di questo tempo, possiamo splendere della nostra luce, offrendo, a noi e agli altri, la nostra originale bellezza, fatta di etica e di estetica.
Potremo mai arrivare a questo? Chi potrà risvegliare coscienze sopite, animare volontà congelate, riscaldare il fuoco della lotta per la giustizia, nei giovani, negli educatori, in chi ha responsabilità di governo, riempiendo di speranza i nostri sogni … Chi, se non ciascuno di noi, se non la luce che è in noi!
Commenta Tino Bedin
La "luce che è in noi" riuscirà a rischiarare ma difficilmente riuscirà a riscaldare. Per questo risultato servono molte luci accese insieme e accese vicine. C'è una dimensione comunitaria dell'attenzione e dell'impegno per gli altri che non possiamo eludere, se vogliamo essere efficaci.
Lo si capisce meglio da questo brevissimo passo dell'enciclica "Populorum progressio". Papa Paolo VI ce lo propone dal 26 marzo 1967, domenica di Pasqua. Sono parole che dopo quasi mezzo secolo appartegono alla vita e non alla storia.
"Lo sviluppo integrale dell'uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell'umanità. Come dicevamo a Bombay: «L'uomo deve incontrare l'uomo, le nazioni devono incontrarsi come fratelli e sorelle, come i figli di Dio. In questa comprensione e amicizia vicendevoli, in questa comunione sacra, noi dobbiamo parimente cominciare a lavorare assieme per edificare l'avvenire comune dell'umanità». E suggerivamo altresì la ricerca di mezzi concreti e pratici di organizzazione e di cooperazione, onde mettere in comune le risorse disponibili e così realizzare una vera comunione fra tutte le nazioni.
"Questo dovere riguarda in primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono radicati nella fraternità umana e soprannaturale e si presenta sotto un triplice aspetto: dovere di solidarietà, cioè l'aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri. Il problema è grave, perché dalla sua soluzione dipende l'avvenire della civiltà mondiale".
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