Mi disse “Shalom” e mi abbracció.
Fu subito dopo il rito di ordinazione sacerdotale, l’ultima volta per lui come vescovo di Milano. Il cardinal Martini abbracció ciascuno di noi e ci auguró pace, nella lingua della Bibbia: stava per partire per Gerusalemme, dove avrebbe contemplato gli ultimi soffi della Parola di Dio.
Pur coordinando la diocesi piú popolosa del mondo, si ricordava di ciascuno dei suoi preti e di molti laici e laiche, con cui costruí un nuovo modo di essere chiesa. Ancora dieci anni dopo, aveva la delicatezza di leggere le mie lettere e di rispondermi, brevemente, ma con attenzione.
Ho imparato molto con lui: mi ricordo ancora delle notti passate con altre centinaia di giovani, seduti per terra nel Duomo di Milano pieno di gente che celebrava con lui le veglie di Lectio Divina “in traditione Symboli”. Parlava lentamente, con voce profonda, non voleva catturare l’attenzione con espressioni esagerate, ma per la veritá che evocava in chi seguiva le sue parole.
Ancor oggi mi chiedo come poteva manenere la serenitá e la luciditá, nell’amministrazione di una chiesa immersa nel mondo tanto complesso e contradditorio del nord Italia. Mi sorprendeva sempre la sua capacitá di sospendere i problemi e l’affanno e prendersi un giorno intero per sé e per Dio. Era ogni mercoledí, mi sembra; usciva dalla cittá e andava a camminare in montagna, da solo, come Mosé in ricerca di Dio.
L’ultima volta che l’ho visto, ero di passaggio in Italia e lui stava celebrando in una piccola chiesa vicino al mio paese. Alla fine, è entrato in sacrestia ed io non ho avuto il coraggio di andare a salutarlo. Era fragile e stanco. Volevo ricordarmi di lui con questa distanza rispettosa, non era necessario forzare un’intimitá maggiore. Preferisco essere intimo di quello che ha scritto, che mi ha insegnato, della fermezza e profonda serenitá che mi ha trasmesso.
Un altro padre che ci lascia con la sfida di vivere in pienezza. Come tutti i riti di iniziazione e di passaggio, credo profondamente che, per l’imposizione delle mani, un po’ dello spirito dei nostri antenati passa a vivere dentro di noi. Se è cosí, non ti lasceró morire…
Padre Dario Bossi comboniano
Commenta Tino Bedin
Approfitto della lettera di padre Dario Bossi per aggiungere una delle ricchezze con cui il cardinale Martini ha alimentato non solo la sua Chiesa milenese ma molti credenti impegnati in politica: la speranza. Anche la fede, anche la carità, ma è soprattutto la speranza che puoi condividere con tutti, è la speranza che la politica è chiamata a costruire nella comunità e nelle persone. Ecco una breve citazioni dal discorso tenuto per la Festa di Sant'Ambrogio il 6 dicembre 1996, che ha un titolo programmatico "Alla fine del Millennio, lasciateci sognare!".
Non saranno le analisi pessimistiche a migliorare il mondo e nemmeno basterà un accorato richiamo ai valori o alla legalità per far andare meglio le cose. Dobbiamo piuttosto, dal momento che i nostri difetti li conosciamo bene, acquisire una visuale positiva, un sogno di futuro, che ci permetta di affrontare con energia e coraggio il passaggio di millennio.
... Lasciateci sognare! Lasciateci guardare oltre alle fatiche di ogni giorno! Lasciateci prendere ispirazione da grandi ideali! Lasciateci contemplare con scioltezza le figure che, come Ambrogio, hanno segnato un passaggio di epoca non con imprese militari o con riforme imposte dall'alto, bensì valorizzando la vita quotidiana della gente, insegnando che la forza e il regno di Dio sono già in mezzo a noi e che basta aprire gli occhi e il cuore per vedere la salvezza di Dio all'opera. Fare politica così, aprendo gli occhi e il cuore, è possibile? Ce lo lasciano fare? Non lo so. So che occorre provarci ed è urgente: prima che la democrazia si consumi nelle formule, prima che la cittadinanza sia estinta dalla paura.
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