Carlo Maria Martini
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Padova, 3 settembre 2012

Il pastore che in molti abbiamo riconosciuto come una guida
Carlo Maria Martini, l'episcopos:
"colui che custodisce perché sa guardare lontano"

Non ci aiutava solo a capire, ci insegnava a fare

Ci ha lasciato Carlo Maria Martini, un Vescovo caro e vicino all'umanità, che ha saputo essere l'episcopos "colui che custodisce perché sa guardare lontano ". Il pastore che in molti abbiamo riconosciuto come una guida. Ci mancherà, e molto, soprattutto in questi anni di grande travaglio e spaesamento in cui la modernità sembra presentare i lati più oscuri, quasi vendicativi, di una mancata capacità nostra e soprattutto della politica e dell'economia di guidare lo sviluppo e dare dignità alla vita dei popoli.
Eppure proprio oggi sentiamo la forza delle sue parole, delle sue lettere pastorali, delle sue riflessioni, sempre rigorose, mai scontate. La sua ferma volontà all'incontro, la disponibilità al dialogo, la ricerca comune del bello e del positivo che, magari nascosto, sta in ogni persona.
Un segno del suo ministero sono la prima, "In principio la parola" 1982, e l'ultima " Sulla Tua parola" 2002, delle 18 lettere pastorali che il Cardinale di Milano ci ha donato. Un segno e un dono significativi non solo per i cristiani e non solo per i milanesi. Il riferimento alla "parola", la fonte a cui ritornare, lo strumento da cui partire per la comunicazione e la relazione nella chiesa e nella società.
Ricordiamo in particolare altre lettere "Farsi prossimo" '85-'86, "Il lembo del mantello" '91-'92, "Sto alla porta" '92-'94, per la grande spinta che C. M. Martini ha dato a molti credenti e non, a stare dentro il proprio tempo con passione, a decidere di voler stare sui lembi sfrangiati della nostra società per ricucire le ferite, a partire dai più poveri, per rammendare le relazioni umane, per ridare speranza ai popoli. E soprattutto per dare senso alla vita di una comunità fondandola sulla giustizia, quale imperativo morale prima ancora che regola giuridica.
Diceva Martini: La giustizia è il fondamento della vita comunitaria, la virtù che promuove l'ordine costruttivo, benefico, dei rapporti degli uomini tra loro e con Dio: dire "giusto" equivale a dire "buono", "santo", "perfetto". Come dicevano i greci e i latini la giustizia è dare a ciascuno ciò che gli appartiene. E' allora quel valore sociale per cui si riconoscono i diritti di ogni persona, così come si vuole che siano riconosciuti e rispettati i propri.
E così la sua famosa Cattedra dei non credenti ('87-'02), fu occasione di incontro e di dialogo tra cristiani e non credenti, rivolta a tutti i "pensanti" senza distinzione di credo. La vera distinzione, diceva, non va fatta tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti.
Nella presentazione del recente libro di Bernardo Valli, "Storia di un uomo. Ritratto di Carlo Maria Martini", Ferruccio De Bortoli nella prefazione suggerisce alcune riflessioni: "Il titolo di questo libro, Storia di un uomo, lo avvicina al gregge e alla massa di questa tormentata epoca. Martini sembra spogliarsi della porpora, offrendo il lembo del proprio mantello agli altri perché vi possano trovare riparo e cura. Credenti, non credenti o credenti di altre religioni".
"Martini affronta anche il nodo della giustizia che non è strumento per una migliore equità sociale né utensile del rancore di classe. È virtù interiore, da coltivare e sottrarre al populismo imperante. Un valore morale da alimentare con una continua educazione. La giustizia vista anche come antidoto alla deriva individualista della società. E la proposta di pene alternative al carcere racchiude l'idea biblica che non vi è legge perfetta che possa sopperire ai guasti di cuori cattivi e corrotti. "L'ideale evangelico non è punire il male, bensì cambiare i cuori".(…)
Martini crede nei cercatori e nei pionieri, nei costruttori di ponti, diffida degli steccati e dei muri (…). Cercare, andare oltre, non fermarsi di fronte alle difficoltà, distinguere l'animus razionale dall'anima che spinge al dialogo con gli altri, alla reciproca comprensione, alla bellezza del dono, alla verità. L'essenza dello spirito conciliare, troppo spesso tradito in questi ultimi anni, anche all'interno di una gerarchia ecclesiastica, dalla quale Martini prende, non raramente, le distanze. La Chiesa è minoranza, come erano minoranza ai tempi di Ambrogio i cristiani milanesi. Accettare questa condizione significa per Martini non rassegnarsi a un ruolo marginale della Chiesa ma trovare nuovo slancio per quella che lui chiama "mediazione antropologico-etica", il contributo insostituibile dei cattolici alla crescita della società civile.
La missione pastorale di Martini sarà ricordata anche per la Cattedra dei non credenti e per il dialogo interreligioso, senza il quale, dice il cardinale, non vi è futuro per l'umanità".
L'ultimo respiro affaticato ma sereno del Cardinale ci lascia ancora un segno importante sulla dignità della vita e del suo compiersi. Anche di questo vogliamo ringraziarLo, per la Sua grandissima umanità e per la profonda spiritualità.
Ritorneremo a leggere le parole di Carlo Maria Martini
- per stare nella giustizia, per non trattare con parzialità il povero né usare preferenze verso il potente, per giudicare il prossimo con giustizia -
per cercare di vedere un po' più lontano, come il nostro caro "Episcopos" ci ha insegnato.

Claudio Piron

Risponde Tino Bedin

Molte volte, da cristiani impegnati in politica, abbiamo avuto bisogno del pensiero del Cardinale Martini. Non ci aiutava solo a capire, ci insegnava a fare. È questa la scuola che abbiamo frequentato in particolare attraverso le sue Lettere pastorali. Non erano anni facili gli anni Ottanta e Novanta. Il distacco tra fede e politica non era solo una tentazione, per molti era una scelta imposta dalle condizioni in cui versava la politica. Il volontariato sociale, la comunità cristiana sembravano a molti il luogo migliore in cui esercitare la carità. Solo alcuni tra noi, cresciuti al Magistero di Papa Paolo VI, ci ostinavamo a non lasciare sguarnite le istituzioni repubblicane della presenza dei cattolici. E sempre potevamo contare sul Cardinale Martini, sulle sue parole.
Nel giorno di Sant'Ambrogio del 1986, il Cardine Martini offre alla sua Chiesa milanese la lettera pastorale "Farsi prossimo". Non si può riassumere. Ma poiché vale la pena continuare a leggerla, ecco un brano per l'oggi.
Il buon andamento della vita sociale dipende molto dalla vivacità, dalla efficienza, dalla correttezza del sistema politico. Il realismo tenace, con cui la carità cerca il bene di ogni uomo, la impegna anche nel campo delle scelte politiche. (…)
Faccio qualche sottolineatura per suscitare riflessione e discussione. a) Bisogna prendere atto con realismo dell'attuale tendenza delle strutture politiche a espandersi anche in quei settori della vita associata che, di per sé, potrebbero essere gestiti con strutture più agili, espresse dall'iniziativa e dal consenso dei cittadini interessati. Penso alla scuola, all'assistenza, al quartiere, ecc. Oltre che di realismo, però, occorre dar prova pure di coraggio critico verso questa tendenza a "politicizzare" tutto. Come ho già detto nel discorso di S. Ambrogio dello scorso dicembre, "talvolta gli interventi politici fanno riferimento a matrici ideologiche generali più che all'esame concreto delle situazioni. Gli organismi di partecipazione e di decentrarnento dovrebbero invece introdurre un prezioso correttivo verso la concretezza e verso una attenzione a tutte le esigenze provenienti dalla loro base. Tra queste esigenze mi permetto di ricordare quella di avere accanto a tante infrastrutture, i luoghi necessari per celebrare il culto e per attuare le iniziative caritative ed educative della comunità cristiana".
b) L'attuazione dei princìpi dell'autonomia, della distinzione e della collaborazione tra Chiesa e Stato chiede ai cristiani molta versatilità nell'individuare e configurare i diversi tipi di presenza della Chiesa nella società. A un estremo stanno gli interventi ufficiali della Chiesa in quanto tale, per casi di estrema gravità che chiedono un consenso di tutti i credenti; all'altro estremo sta la quotidiana presenza della Chiesa attraverso le decisioni affidate alla responsabilità dei singoli cittadini credenti. Tra questi estremi si distendono molti livelli di intervento, in cui è particolarmente chiamato in causa l'associazionismo cattolico, con la sua capacità di produrre programmi dí promozione umana e civile e di creare un libero consenso attorno ad essi.
c) Un dovere grave della carità cristiana in campo politico è la denuncia dei sistemi generali e delle singole leggi che violano la libertà e la dignità dell'uomo. 8…)
d) Più difficile è descrivere l'opera propositiva della carità in campo politico. Si può dire, però, che tutte le testimonianze della carità descritte nei punti precedenti, specialmente quelle relative all'animazione sociale e al discernimento spirituale, vengono a costituire un patrimonio di orientamenti, di valori ideali e anche di progetti operativi concreti che i cristiani offrono come un contributo originale alla vita politica del Paese. A questo patrimonio i cristiani si ispireranno nel dar vita alle loro iniziative e nella scelta di coloro che dovranno democraticamente rappresentarli nei vari organismi della vita pubblica.
Tutto quello che è stato detto non si può improvvisare. Occorre un'opera di formazione sia alla coscienza politica di tutti i credenti, sia all'impegno politico diretto di coloro che hanno vocazione e doti.

Sempre dalla stessa lettera pastorale "Farsi prossimo" Claudio Piron ha allegato alle sue riflessioni alcuni passi iniziali. Li riporto.
Se dunque il primo passo della lettera pastorale è stato la preghiera, il secondo passo sia l'ascolto della parabola del buon samaritano.
Prendendola come immagine del cammino pastorale della nostra Chiesa, possiamo cogliere in essa quattro momenti.
Il primo momento è come un'introduzione scenica. In alto sta Gerusalemme, con le sue mura sicure, le case accoglienti, il tempio di Dio che offre bellezza e protezione. Mille metri più in basso, Gerico, la città delle rose, si stende sulle rive del Mar Morto a trecento metri sotto il livello del mare. Tra le due città una zona aspra e desertica, con una strada piena di imprevisti e di pericoli. Un uomo, che scende da Gerusalemme a Gerico, incontra dei briganti, che gli portano via tutto, lo bastonano e fuggono, lasciandolo mezzo morto.
Nel nostro cammino pastorale, insieme con i discepoli di Emmaus abbiamo incontrato il Signore, che ci ha spiegato la sua Parola; abbiamo spezzato con lui il Pane dell'Eucaristia; siamo corsi a Gerusalemme, la città della Cena, della Pasqua, della Pentecoste per prepararci alla missione, che ci farà testimoni del Risorto in tutto il mondo. La missione e la testimonianza ci portano lontano da Gerusalemme, incontro a ogni uomo che ha bisogno di aiuto. In altre parole dobbiamo comprendere il rapporto che c'è tra la dimensione contemplativa della vita, la Parola, l'Eucaristia, la missione e la carità, nella quale ultima tutte le altre realtà della Chiesa trovano la loro pienezza.
Il secondo momento della parabola ci presenta il penoso spettacolo della durezza del cuore. Un sacerdote e un levita, che percorrono quella strada, passano oltre, senza prestare soccorso. La loro durezza è l'immagine della nostra. I bisogni dei fratelli ci mettono in difficoltà. Rimaniamo chiusi in noi stessi e scarichiamo sugli altri le responsabilità. I rapporti sociali che ci legano ai nostri simili, senza la scintilla della carità, restano inerti. Dobbiamo esaminare umilmente le difficoltà che le nostre comunità incontrano nell'esercizio della carità.
Il terzo momento è il cuore di tutta la narrazione. Consta di una sola parola greca, che significa: fu mosso a compassione. Essa designa l'intensa commozione e pietà da cui fu afferrato un samaritano, che passava per quella stessa strada. Non pensiamo soltanto a un risveglio di buoni sentimenti. Poche pagine prima (cfr. Lc 7,13), la stessa parola è usata per descrivere la compassione di Gesù dinanzi al funerale del figlio della vedova di Naim. In altri passi della Bibbia questa parola allude all'immensa tenerezza che Dio prova per ogni uomo. Dobbiamo pensare che con questa parola il racconto evangelico voglia descrivere un evento misterioso che è accaduto nel cuore del samaritano e lo ha, per così dire, attratto nello stesso movimento di misericordia con cui Dio ama gli uomini. Cercheremo anche noi di scoprire le leggi misteriose, secondo le quali l'amore di Dio, mediante lo Spirito di Gesù, infonde la carità nei nostri cuori.
Il quarto momento è una conclusione movimentata, tutta premura e azione: il samaritano si avvicina allo sfortunato, si fa prossimo, versa vino e olio sulle ferite, le fascia; carica lo sconosciuto, fatto diventare prossimo, sul proprio asino e lo porta alla locanda; sborsa due monete d'argento per le cure che saranno necessarie. La cosa più bella è che non lo abbandona al suo destino. Sa che può aver bisogno di tante altre cose; allora dice al padrone della locanda: "Abbi cura di lui e, anche se spenderai di più, pagherò io quando ritorno". Anche noi ci chiederemo quali gesti concreti ci domanda la carità che Dio ha acceso nel nostro cuore.

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12-di-013
3 settembre 2012
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Tino Bedin