Sostegno al nuovo programma del Fondo monetario internazionale Tre anni per una fideiussione italiana ai debiti dei Paesi impoveriti
Serve il controllo parlamentare sulle scelte italiane negli organismi multilaterali
Nella seduta antimeridiana di martedì 18 marzo il Senato ha esaminato ed approvato il disegno di legge per la "Concessione di prestiti garantiti dallo Stato a favore della Poverty Reduction and Growth Facility (PRGF) del Fondo Monetario Internazionale". Si tratta di un capitolo della cooperazione italiana allo sviluppo attraverso organism internazionali. Le posizioni del gruppo Margherita-L'Ulivo sono state illustrate e sostenute dal senatore Tino Bedin, capogruppo e segretario della Commissione per le Politiche dell'Unione Europea.
intervento di Tino Bedin senatore di Margherita-L'Ulivo
Per la prima volta l'Italia utilizza un recente strumento di finanziamento destinato alla riduzione della povertà del mondo. Lo strumento della Poverty Reduction and Growth Facility è stato introdotto infatti nel 1999. Subito l'anno dopo, nel 2000, il Fondo Monetario Internazionale ci ha proposto di partecipare alla sua utilizzazione. Il Governo ha risposto a quell'invito il 21 febbraio 2002, cioè due anni dopo, con uno specifico disegno di legge. Dal 21 febbraio 2002 al 18 marzo 2003 è già passato un altro anno prima che il disegno di legge arrivasse al voto del Senato. Dovrà seguire il voto della Camera dei deputati.
Non ha un costo diretto per il bilancio dello Stato. Eppure, vista con gli occhi del contabile, si tratta di una semplice fideiussione: lo Stato italiano assolve agli impegni, presi in sede internazionale, di assicurare il finanziamento della Poverty Reduction and Growth Facility, garantendo il prestito che la Banca d'Italia fa al conto riserve del PRGF Trust. Si tratta già di per sé di un conto di garanzia che dispone di risorse sufficienti a coprire il 40 per cento dei crediti concessi dallo stesso programma del Fondo Monetario Internazionale. La Banca d'Italia concede il prestito a valere sulle riserve e non c'è alcun impatto sul bilancio dello Stato.
Il Governo si è premurato di dire in Commissione Esteri che la possibilità di richiedere l'esecuzione della garanzia statale è un'eventualità secondaria, improbabile e mai verificata in tutti i prestiti precedentemente concessi per questo tipo di iniziative. Poca cosa, dunque, almeno all'apparenza, come scelta politica e come tale l'hanno evidentemente interpretata la maggioranza e il Governo, visti i tempi di discussione e di approvazione di questo disegno di legge. Non l'ha fatto il relatore, che ha invece giustamente inquadrato politicamente il disegno di legge nell'ambito più generale della politica di riduzione del debito dei Paesi impoveriti e nella più generale discussione sugli strumenti che a livello multilaterale i Paesi oggi utilizzano.
Visti i tempi, come dicevo, viene da sperare che non vi sia neppure un gran bisogno di questo prestito della Banca d'Italia, dal momento che dal 31 luglio dello scorso anno, quando la Commissione esteri ha votato, senza alcuna opposizione, il mandato a riferire in senso favorevole all'approvazione del disegno di legge, quest'ultimo arriva in Aula solo oggi, cioè a distanza di oltre otto mesi.
Al ministro Tremonti interessano anche le riserve della Banca d'Italia. Dove si è fermato? Perché si è fermato? Non per ragioni di cassa, viene da credere, vista la convinzione con la quale ben tre sottosegretari sono andati in Commissione bilancio a sostenere, di fronte ai dubbi del collega Ciccanti e alle citazioni della Corte dei conti, che non vi sono oneri per il bilancio dello Stato; anche se, hanno ripetuto, è lo Stato e non la Banca d'Italia ad aver assunto impegni politici per la riduzione del debito. Forse al Ministero dell'economia non sono poi così sicuri che sia vero ciò che vanno a dire in Commissione e nel dubbio hanno pensato di evitare sorprese
Non abbiamo del resto dimenticato che la finanziaria per il 2003, così come era stata presentata dallo stesso Governo, va a raschiare anche dalla legge 25 luglio 2000, n. 209, che regola l'iniziativa italiana per la cancellazione del debito, eliminando da quella legge obiettivi quantitativi e temporali e proponendo di vincolare gli annullamenti alle esigenze di finanza pubblica.
Il ritocco apportato dal Senato in seconda lettura è un cerotto, ma non ha sanato la ferita politica inferta a quella legge, allo spirito della legge, dalla nuova politica del Ministro dell'economia.
Per tornare al ritardo del disegno di legge in discussione, forse la politica di accentramento decisa dal Ministro dell'economia ha fatto conto in questi mesi anche delle riserve della Banca d'Italia? In vista della fine dell'anno il ministro Tremonti ha infatti fatto ricorso alla Banca d'Italia per operazioni di imbellettamento contabile.
C'è qualche rapporto con il ritardo con cui il Parlamento approva questo disegno di legge, che autorizza la Banca d'Italia a concedere un prestito complessivo di 800 milioni di diritti speciali di prelievo al conto prestiti della Poverty Reduction and Growth Facility, amministrato dal Fondo Monetario Internazionale?
Speriamo che i paesi impoveriti non stessero lì ad aspettare l'Italia. Otto mesi sembrano davvero tanti, soprattutto se messi a confronto con l'apparente fretta che aveva la maggioranza nell'approvare questo disegno di legge in sede deliberante in Commissione ed in considerazione delle pur educate critiche alla minoranza nell'aver richiesto la discussione di oggi in Aula. Richieste certamente non dilatorie quelle dell'opposizione, visto che in Commissione il percorso si è immediatamente concluso.
Speriamo che nessuno dei Paesi poveri che aderiscono al programma di Poverty Reduction and Growth Facility, e che quindi sono tenuti ad utilizzare tali risorse per programmi di riduzione della povertà ottenendo in cambio una riduzione del debito, sia stato costretto a ritardare i suoi programmi per la lentezza con cui la maggioranza mette questo disegno di legge all'ordine del giorno del Senato per poi trasmetterlo alla Camera dei deputati.
Eppure, la più consistente delle due tranche in cui si suddivide il prestito (quella di 550 milioni di diritti speciali di prelievo, l'altra richiesta precedentemente è di 250 milioni di diritti speciali) deve servire proprio a quell'accelerazione nella politica di cancellazione del debito che pure l'Italia aveva promosso in concomitanza con l'anno giubilare e che l'attuale Governo aveva detto di voler proseguire in occasione del G8 di Genova.
Per questo, come ho ricordato, nel settembre del 2000 il Fondo monetario internazionale aveva chiesto all'Italia il prestito per finanziare il PRGF per il periodo 2001-2005. Siamo già a metà di quel periodo senza aver ancora concesso quel prestito di 698 milioni di euro e neppure l'altro di 317 milioni di euro.
Che direttive hanno gli italiani al Fondo monetario internazionale? La discussione in Aula di questo disegno di legge serve anche, e soprattutto, a dare di nuovo evidenza di carattere generale al tema della riduzione del debito dei Paesi impoveriti ed è, nella specificità di questo provvedimento, anche l'occasione per il Parlamento di interrogare il Governo sulle direttive che esso impartisce ai propri rappresentanti nel Fondo Monetario Internazionale.
Poiché la maggioranza e il Governo sono in ritardo nell'aggiornamento della legge sulla cooperazione italiana allo sviluppo, diventa sempre più decisiva la nostra partecipazione negli organismi sovranazionali, sulla cui attività il Parlamento deve dunque essere informato. Tra l'altro, in considerazione del voto ponderato, legato alle dimensioni del contributo fornito, previsto in seno agli organismi direttivi del Fondo Monetario Internazionale, questo è uno dei settori nei quali l'Europa potrebbe e dovrebbe elaborare una propria politica di riduzione della povertà e proporla unitariamente al Fondo Monetario Internazionale.
I due temi - quello del controllo parlamentare sul Fondo Monetario Internazionale e quello della nostra azione in Europa - sono stati sollevati dall'Ulivo in Commissione, ma in quella sede non hanno avuto risposte da parte del Governo. Mi auguro che lo stesso senta il dovere di darle in Aula.
È possibile un primo bilancio? Così come ci aspettiamo che il Governo presenti al Parlamento informazioni sullo specifico programma PRGF. Essendo stato introdotto nel 1999, il progetto di Poverty Reduction and Growth Facility può certamente essere sottoposto a verifica, sia nei suoi strumenti che nei suoi primi risultati.
Se i nove Paesi più indebitati del mondo non sono ancora riusciti a veder cancellato il proprio debito, qualche difficoltà deve pur esserci e va verificato quanto sia efficace la Poverty Reduction and Growth Facility.
Ad esempio, il Poverty Reduction Strategy Paper è davvero il documento che deve rendere testimonianza dell'alto grado di partecipazione economico-sociale dei Paesi eleggibili attorno ai programmi di riduzione della povertà o è prevalentemente una laboriosa documentazione statistica che gli Stati faticano a mettere insieme al fine della concessione degli aiuti?
E cosa significa allargare il processo partecipativo attorno al programma di riduzione della povertà? Può significare rispondere positivamente al pressante invito che il Fondo Monetario Internazionale fa a questi Paesi di procedere alla privatizzazione delle terre e delle risorse naturali?
Le domande non sono solo di verifica, ma entrano nella condizione stessa dei Paesi impoveriti. Il rispetto delle condizioni previste nei programmi associati al PRGF rappresenta infatti una condizione necessaria perché i Paesi eleggibili possano beneficiare del meccanismo di alleggerimento del debito previsto dall'iniziativa HIPC.
Una documentazione sui primi risultati e una loro analisi da parte del Parlamento italiano risulterebbe utile e interessante se teniamo a mente che il contributo italiano previsto da questo disegno di legge non riguarda solo la PRGF, ma serve anche alla liquidazione delle pendenze del programma precedente, l'ESAF, sostituito appunto dal programma PRGF, perché una valutazione, sia interna sia indipendente, aveva rilevato tutti i limiti di quello strumento finanziario. A tre anni dall'avvio dobbiamo essere rassicurati che gli stessi limiti non ci siano nel PRGF e soprattutto che il Fondo Monetario Internazionale stia applicando le raccomandazioni che gli sono state rivolte al momento della sostituzione del precedente strumento finanziario.
Ad esempio, ci può dire il Governo in che misura e in che direzione il Fondo Monetario Internazionale stia sostituendo i piani di aggiustamento strutturale, che spesso non sono serviti alla riduzione della povertà, tanto che la stessa Banca Mondiale ha sollecitato l'abbandono di questi strumenti?
Impoveriti e anche condizionati? Come Parlamento dobbiamo avere gli elementi per essere protagonisti del dibattito in corso, che riguarda lo stesso ruolo del Fondo Monetario Internazionale. Ricordo che al recente Forum sociale mondiale di Porto Alegre in Brasile, alla fine di gennaio, un seminario della Caritas internazionale è stato incentrato proprio sulla necessità di una giusta e trasparente procedura di arbitrato internazionale che dia la possibilità anche alla società di essere ascoltata, mentre il Fondo Monetario Internazionale dovrebbe essere limitato al ruolo di creditore.
La trasformazione recente degli strumenti utilizzati dal Fondo Monetario Internazionale è un fatto che valutiamo positivamente, anche perché nel tempo l'espandersi delle misure incluse nei programmi di aggiustamento ha creato la percezione che il Fondo travalicasse il proprio mandato e le proprie competenze. Con lo snellimento della condizionalità bisogna assicurare che non solo le autorità, ma anche le popolazioni dei Paesi impoveriti non percepiscano i programmi di aggiustamento del Fondo Monetario Internazionale come una imposizione.
I Paesi, invece, devono condividere l'impostazione e gli obiettivi, considerando parte integrante delle proprie politiche quelle che costruiscono insieme agli Stati che li aiutano.
Nel provvedimento di riforma della legge sulla cooperazione internazionale, approvato dal Senato nella scorsa legislatura, abbiamo definito tali Paesi "cooperanti", non Paesi eleggibili o Paesi poveri. Abbiamo ritenuto, e continuiamo a ritenere, che l'aiuto pubblico allo sviluppo è soprattutto cooperazione, da parte nostra ma anche da parte loro.
A tali interrogativi speriamo che il Governo dia, nel seguito dell'esame del provvedimento, qualche risposta.
18 marzo 2003 |